“Non possiamo essere amati da qualcuno che ha bisogno di noi per sopravvivere”
Robin Norwood – scrittrice, terapeuta
Quando non riesci a lasciarlo andare: legami, dipendenza affettiva e il desiderio di salvarlo
Ti ostini a restare, anche se soffri: perché succede?
Se ti sei mai detta “non riesco a lasciarlo andare anche se sto male”, sappi che non sei sola. In psicoterapia, questa frase è tra le più comuni. Si riferisce a quelle relazioni che fanno male, ma che sembrano impossibili da interrompere. È una dinamica sottile e dolorosa, dove il cuore, la mente e spesso l’inconscio sembrano remare contro la nostra volontà razionale di stare bene.
Le radici invisibili dell’attaccamento
Dietro questa difficoltà si nasconde spesso un attaccamento insicuro, sviluppato nei primi anni di vita. Quando da piccoli l’amore è stato incostante, condizionato o legato al bisogno di “meritarselo”, potremmo sviluppare un modello relazionale dove il dolore viene confuso con l’amore. Così, anche da adulti, scegliamo inconsciamente relazioni che riecheggiano quelle prime esperienze, nel tentativo di “guarirle”.
Un altro elemento che ci tiene intrappolati in relazioni disfunzionali è il desiderio di “salvarlo”. Questo accade più spesso nelle donne, ma non solo, che assumono un ruolo quasi terapeutico nella coppia, cercando di curare le ferite emotive del partner, perdonandolo, giustificandolo, restando. Ma questa missione nasconde un bisogno profondo di sentirsi amate per ciò che si dà, piuttosto che per ciò che si è.
Quando lasciarlo andare fa più paura che restare
Lasciare andare può significare affrontare il vuoto, la solitudine, la paura di non trovare più nessuno. Eppure, restare in una relazione che ci spegne non è amore, è sopravvivenza emotiva. La verità è che spesso la ferita più profonda non è il partner stesso, ma l’idea che senza di lui valiamo meno. È qui che la psicoterapia può fare la differenza, aiutandoci a riscrivere il nostro copione interiore per:
Ricostruire l’autostima e il senso di valore personale
Riconoscere e trasformare i modelli relazionali disfunzionali
Accettare il dolore della perdita come parte del processo di crescita
Imparare a distinguere l’amore vero dalla dipendenza
Con un percorso dedicato, si può tornare a scegliere relazioni in cui ci si sente visti, rispettati e liberi.
Conclusione
Se ti ritrovi a dire “non riesco a lasciarlo andare”, è tempo di fermarti e guardarti dentro. Il primo passo per uscire da questa trappola affettiva non è colpevolizzarti, ma comprenderti. Perché dietro ogni legame che trattiene, c’è una parte di te che ha bisogno di cura, non di giudizio.
“Abbi il coraggio di lasciar andare ciò che non puoi cambiare. Abbi la forza di cambiare ciò che puoi“
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/04/dipendenza-affettiva.jpg12801920Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-10-08 08:55:002025-07-10 09:20:46Quando non riesci a lasciarlo andare: legami, dipendenza affettiva e il desiderio di salvarlo
“La colpa può diventare un collante relazionale tossico, un modo per controllare e farsi controllare”
Harriet Lerner – psicoterapeuta
Senso di responsabilità vs. senso di colpa: due facce della stessa moneta? No. Ecco perché.
Spesso il senso di responsabilità e il senso di colpa vengono confusi, come se fossero due facce identiche di un’unica medaglia. In realtà, sono due esperienze interiori profondamente diverse, che influenzano il nostro modo di pensare, sentire e agire. Capire questa distinzione non è un vezzo teorico: è la chiave per prendersi cura di sé, per costruire relazioni più autentiche e per affrontare la vita con maggiore serenità. Comprendere questa distinzione è fondamentale per migliorare il benessere emotivo e promuovere una crescita personale autentica
Cos’è il senso di responsabilità?
Definizione: capacità di riconoscere il proprio ruolo nelle azioni e nelle scelte, assumendosi le conseguenze in modo proattivo e costruttivo.
Il senso di responsabilità è la capacità di riconoscere il proprio ruolo nelle situazioni, assumendosi le conseguenze delle proprie scelte in modo lucido, costruttivo e proattivo. È una forza interiore che guida l’azione etica, la coerenza e l’affidabilità.
Quando parlo di senso di responsabilità, mi riferisco a quella spinta interiore che ci fa dire: “Ok, qui c’è qualcosa che dipende da me, posso fare la mia parte”. È come un faro che ci guida a fare un passo avanti, a rimediare, a prenderci in carico le conseguenze delle nostre scelte senza paura. Siano essi successi siano criticità… (si siamo responsabli anche dei nostri successi!)
Caratteristiche principali:
Orientamento all’azione e alla soluzione. Non restiamo bloccati sui problemi, ma cerchiamo strade pratiche per risolverli: ci organizziamo, chiediamo aiuto, studiamo una strategia.
Consapevolezza di limiti e risorse. Sappiamo di non essere onnipotenti, ma riconosciamo i nostri punti di forza e quelli sui quali possiamo lavorare.
Riparazione concreta. Se sbagliamo, non stiamo a crogiolarci: chiediamo scusa e proponiamo un gesto riparatore.
Esempio: Se dimentico un appuntamento con un amico, mi assumo la responsabilità dell’errore. Chiamo, chiedo scusa, spiego cosa è successo e mi rendo disponibile a riparare, ad esempio proponendo un nuovo incontro.
Che cos’è il senso di colpa?
Definizione: emozione che insorge quando si percepisce di aver violato un proprio codice morale o affettivo. Può essere utile come bussola morale, ma diventa disfunzionale se eccessivo o ingiustificato.
Il senso di colpa è un’emozione che nasce quando sentiamo di aver violato un nostro codice morale o affettivo. Può essere utile solo se legato a una reale responsabilità, ma diventa tossico se è generato da aspettative irrealistiche, manipolazioni o da un Super-Io ipercritico.È come un campanello d’allarme, utile se ci avverte di una reale trasgressione. Ma diventa veleno quando suona senza motivo o rimane acceso a lungo.
Caratteristiche principali:
Autogiudizio e autocritica
Ruminazione mentale (“rimuginio”)
Immobilismo emotivo
Esempio: Se dopo aver detto “no” a una richiesta irragionevole, passo ore a sentirmi in colpa e mi giudico come una persona egoista, allora non è responsabilità, è colpa disfunzionale.
Tabella riassuntiva
Aspetto
Senso di responsabilità
Senso di colpa
Origine
Scelta consapevole
Giudizio interiore
Effetto
Promuove l’azione
Alimenta la ruminazione
Stato emotivo
Centratura, chiarezza
Ansia, vergogna
Dialogo interiore
“Come posso rimediare?”
“Sono sbagliato/a”
Perché è importante fare distinzione
Crescita personale: Un sano senso di responsabilità ci spinge a migliorare, mentre la colpa cronica ci tiene fermi, in un circolo vizioso di autocritiche e dubbi.
Relazioni equilibrate: Riparare un torto è far sentire l’altro ascoltato e rispettato. Rimanere nella colpa, invece, alimenta distanze e incomprensioni.
Benessere emotivo: Liberarsi dal peso della colpa irrazionale riduce ansia, insonnia e perfezionismo esasperato.
Come coltivare il senso di responsabilità
Auto-riflessione guidata, Pratica dell’assertività, Esercizi di riparazione
Diario riflessivo: Prendi cinque minuti ogni sera per annotare cosa hai fatto, cosa avresti potuto fare diversamente e quali passi concreti intendi compiere domani.
Assertività con empatia: Impara a dire no quando serve, ma con rispetto: “Apprezzo l’invito, ma oggi non posso. Possiamo sentirci domani?”.
Gesti riparatori: Doppi se sbagli davvero: un messaggio, una piccola attenzione, un gesto simbolico che dimostri l’impegno a fare meglio.
Conclusione
Distinguere il senso di responsabilità dal senso di colpa è il primo passo per una gestione emotiva efficace e per costruire rapporti più autentici. Il primo ci guida verso il cambiamento e la riparazione; il secondo, se fuori controllo, ci imprigiona in giudizi negativi.
Distinguere il senso di responsabilità dal senso di colpa è un vero atto di cura verso se stessi. Significa smettere di etichettarci come “sbagliati” e iniziare a vedere le nostre azioni come opportunità di crescita.
“Tra stimolo e risposta c’è uno spazio. In quello spazio risiede la nostra libertà e il nostro potere di scegliere la nostra rispost”
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/04/responsabilita-vs-colpa.jpg12801920Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-07-30 09:00:002025-05-15 13:56:23Differenza tra Senso di Responsabilità e Senso di Colpa
“L’attaccamento è l’inizio di tutto: ci forma, ci guida, ci fa diventare quello che siamo.”
John Bowlby – psicoanalista
Stili di attaccamento: come influenzano la nostra vita emotiva e relazionale
L’attaccamento è uno dei concetti fondamentali nella psicologia umana, poiché rappresenta il legame profondo che si sviluppa tra un individuo e le persone che si occupano di lui sin dalla prima infanzia. Gli stili di attaccamento, determinati principalmente dalle esperienze precoci con le figure genitoriali o di riferimento, influenzano in maniera determinante il nostro comportamento e la qualità delle nostre relazioni future. In questo articolo, esploreremo i diversi stili di attaccamento, comprendendo le loro caratteristiche, le conseguenze di un attaccamento disfunzionale e gli esempi concreti che possono aiutarci a capire come tali stili possano distorcere la realtà.
Che cos’è l’attaccamento?
Il termine “attaccamento” si riferisce al legame emotivo che si sviluppa tra un bambino e la sua figura di riferimento principale, di solito la madre o il padre. Questo legame si forma in risposta a bisogni primari di sicurezza e conforto, ed è un fattore determinante nella costruzione dell’autostima, nella gestione delle emozioni e nel modo in cui ci relazioniamo con gli altri da adulti.
Il famoso psicologo britannico John Bowlby, considerato il padre della teoria dell’attaccamento, ha spiegato che il tipo di attaccamento sviluppato nei primi anni di vita influenza profondamente il nostro modo di percepire noi stessi e gli altri, nonché la nostra capacità di formare relazioni affettive soddisfacenti.
I quattro stili di attaccamento
Attaccamento sicuro
Un bambino con attaccamento sicuro si sente protetto e amato dai suoi genitori o caregiver. Questi bambini sono in grado di esplorare l’ambiente circostante, perché si sentono sicuri nel ritorno alla figura di riferimento quando necessario. Da adulti, tendono a sviluppare relazioni affettive stabili e sane, in cui si sentono capaci di dare e ricevere amore senza paura di essere rifiutati o abbandonati.
Esempio: Una persona con attaccamento sicuro è in grado di affrontare le difficoltà in una relazione senza sentirsi minacciata, e quando emergono conflitti, sa come comunicare apertamente i propri bisogni e desideri, senza cadere in paure paralizzanti o eccessiva dipendenza.
Attaccamento evitante
I bambini con attaccamento evitante crescono in un ambiente in cui le figure di riferimento sono emotivamente distanti o indifferenti. Questi bambini imparano a non chiedere aiuto, sviluppando una forte indipendenza. Da adulti, questo stile di attaccamento può manifestarsi con difficoltà nel creare legami intimi, nella paura di mostrarsi vulnerabili e nel rifiuto di dipendere dagli altri.
Esempio: Un adulto con attaccamento evitante può sentirsi sopraffatto o inibito quando il partner cerca di entrare in contatto emotivo, preferendo distaccarsi emotivamente piuttosto che affrontare la propria vulnerabilità.
Attaccamento ambivalente (o ansioso)
I bambini con attaccamento ambivalente vivono in un ambiente in cui le risposte delle figure di riferimento sono imprevedibili: a volte sono calorosi e affettuosi, altre volte sono distaccati o critici. Questo comportamento genera nei bambini una grande ansia, poiché non sanno mai cosa aspettarsi. Da adulti, queste persone possono diventare molto dipendenti dai loro partner, temendo costantemente l’abbandono e cercando rassicurazioni continue.
Esempio: Un adulto con attaccamento ansioso potrebbe invadere il partner con messaggi o chiamate incessanti, esprimendo una paura irrazionale di essere abbandonato, anche quando non c’è motivo di pensarlo. Questo comportamento può risultare soffocante e spingere l’altro a distaccarsi emotivamente.
Attaccamento disorganizzato
I bambini con attaccamento disorganizzato crescono in ambienti caotici o traumatici, dove le figure di riferimento sono imprevedibili e talvolta spaventose. Questi bambini non sanno come comportarsi nei confronti delle figure di attaccamento, alternando comportamenti di avvicinamento e rifiuto. Da adulti, questi individui possono sperimentare grave disorientamento emotivo e difficoltà nel gestire la loro vita relazionale, spesso manifestando comportamenti contraddittori e distruttivi.
Esempio: Un adulto con attaccamento disorganizzato può avere un rapporto conflittuale con l’intimità: da un lato desidera un legame profondo, ma dall’altro ha paura di essere ferito e tende a sabotare la relazione per paura di soffrire.
Gli effetti di un attaccamento disfunzionale
Un attaccamento disfunzionale, come quello evitante, ansioso o disorganizzato, può distorcere la realtà in modo significativo. Le persone che hanno sviluppato stili di attaccamento disfunzionali spesso interpretano le situazioni in modo distorto. Ad esempio, una persona con attaccamento ansioso potrebbe interpretare un gesto di indipendenza del partner come una forma di rifiuto, quando in realtà non c’è nulla di negativo nella situazione. Allo stesso modo, una persona con attaccamento evitante può scambiare il desiderio di intimità per una minaccia alla propria autonomia, e quindi respingere il partner.
Queste distorsioni possono alimentare conflitti nelle relazioni, creando un ciclo di incomprensione, ansia e paura. L’incapacità di gestire adeguatamente i propri bisogni emotivi e di comunicare in modo sano con gli altri può portare a sentimenti di solitudine e frustrazione.
La possibilità di cambiamento
Fortunatamente, gli stili di attaccamento non sono rigidi e possono evolvere nel corso della vita. La consapevolezza del proprio stile di attaccamento e il desiderio di migliorare le proprie relazioni possono essere il primo passo verso un cambiamento positivo. La psicoterapia, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e la psicoterapia psicodinamica, può aiutare a identificare e correggere le distorsioni cognitive associate agli stili di attaccamento disfunzionali, permettendo una gestione più sana dei legami affettivi.
Conclusione
Gli stili di attaccamento influenzano profondamente la nostra vita emotiva e le nostre relazioni. Comprendere il proprio stile di attaccamento e riconoscere le sue manifestazioni può essere il primo passo verso un cambiamento positivo. Le persone con attaccamento disfunzionale possono imparare a riconoscere le distorsioni della loro realtà emotiva e sviluppare modalità più sane di interagire con gli altri. Non è mai troppo tardi per lavorare su se stessi e migliorare la qualità dei propri legami affettivi.
“Le relazioni sane sono costruite sulla fiducia, ma prima dobbiamo imparare a fidarci di noi stessi”
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/04/attaccametno.jpg12721920Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-07-09 10:35:002025-04-25 15:37:02Stili di attaccamento: come influenzano la nostra vita emotiva e relazionale
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