“Non possiamo essere amati da qualcuno che ha bisogno di noi per sopravvivere”
Robin Norwood – scrittrice, terapeuta
Quando non riesci a lasciarlo andare: legami, dipendenza affettiva e il desiderio di salvarlo
Ti ostini a restare, anche se soffri: perché succede?
Se ti sei mai detta “non riesco a lasciarlo andare anche se sto male”, sappi che non sei sola. In psicoterapia, questa frase è tra le più comuni. Si riferisce a quelle relazioni che fanno male, ma che sembrano impossibili da interrompere. È una dinamica sottile e dolorosa, dove il cuore, la mente e spesso l’inconscio sembrano remare contro la nostra volontà razionale di stare bene.
Le radici invisibili dell’attaccamento
Dietro questa difficoltà si nasconde spesso un attaccamento insicuro, sviluppato nei primi anni di vita. Quando da piccoli l’amore è stato incostante, condizionato o legato al bisogno di “meritarselo”, potremmo sviluppare un modello relazionale dove il dolore viene confuso con l’amore. Così, anche da adulti, scegliamo inconsciamente relazioni che riecheggiano quelle prime esperienze, nel tentativo di “guarirle”.
Un altro elemento che ci tiene intrappolati in relazioni disfunzionali è il desiderio di “salvarlo”. Questo accade più spesso nelle donne, ma non solo, che assumono un ruolo quasi terapeutico nella coppia, cercando di curare le ferite emotive del partner, perdonandolo, giustificandolo, restando. Ma questa missione nasconde un bisogno profondo di sentirsi amate per ciò che si dà, piuttosto che per ciò che si è.
Quando lasciarlo andare fa più paura che restare
Lasciare andare può significare affrontare il vuoto, la solitudine, la paura di non trovare più nessuno. Eppure, restare in una relazione che ci spegne non è amore, è sopravvivenza emotiva. La verità è che spesso la ferita più profonda non è il partner stesso, ma l’idea che senza di lui valiamo meno. È qui che la psicoterapia può fare la differenza, aiutandoci a riscrivere il nostro copione interiore per:
Ricostruire l’autostima e il senso di valore personale
Riconoscere e trasformare i modelli relazionali disfunzionali
Accettare il dolore della perdita come parte del processo di crescita
Imparare a distinguere l’amore vero dalla dipendenza
Con un percorso dedicato, si può tornare a scegliere relazioni in cui ci si sente visti, rispettati e liberi.
Conclusione
Se ti ritrovi a dire “non riesco a lasciarlo andare”, è tempo di fermarti e guardarti dentro. Il primo passo per uscire da questa trappola affettiva non è colpevolizzarti, ma comprenderti. Perché dietro ogni legame che trattiene, c’è una parte di te che ha bisogno di cura, non di giudizio.
“Abbi il coraggio di lasciar andare ciò che non puoi cambiare. Abbi la forza di cambiare ciò che puoi“
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/04/dipendenza-affettiva.jpg12801920Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-10-08 08:55:002025-07-10 09:20:46Quando non riesci a lasciarlo andare: legami, dipendenza affettiva e il desiderio di salvarlo
Quante volte abbiamo sentito – o detto – queste parole? E quante volte ci siamo fermati a riflettere su cosa davvero significhino?
Etichettare è facile. Un gesto rapido, quasi automatico. Ma quando etichettiamo una persona per la sua reazione emotiva, stiamo davvero osservando l’altro o stiamo difendendo un’immagine di noi stessi?
Le etichette che ci portiamo dall’infanzia
Fin da bambini veniamo spesso definiti con certe caratteristiche: “troppo sensibile”, “drammatico”, “esagerato”. Queste etichette, ripetute nel tempo, finiscono per costruire un’identità: non solo per chi le pronuncia, ma anche per chi le riceve.
Cresciamo dentro quelle parole, e finiamo per credere che siano vere. Ma lo sono davvero?
Una riflessione da psicologə… e da persona
Quando ho iniziato a studiare psicologia, l’ho fatto anche per comprendere certe mie reazioni. Volevo “aggiustarmi”, capire da dove nasceva quella sensibilità, permalosità (si dice??), durezza, aggressività che spesso veniva vista come un difetto, ma che io mettevo in campo per difendermi e nascondermi.
E mi sono chiestə:
“se sono io l’oggetto di una battuta che mi ferisce, avrò anche il diritto di dire che quella battuta non mi fa ridere? e avrò il diritto di farlo senza essere considerata permalosa? Chi decide cosa è esagerato? Chi decide cosa ferisce?
Proiezioni e difese: chi è davvero in difficoltà?
Oggi credo che chi etichetta spesso stia proteggendo più se stessə, che non identificando gli altri: È molto più complicato e faticoso decidere di riconoscere di aver ferito qualcuno che non semplicemente etichettarlo; riconoscere di aver ferito significa mettere in discussione la propria immagine: “non voglio pensare di me di essere una persona che fa male, quindi preferisco credere che tu esageri.”, mettere in discussione l’immagine che si ha di sè implica sicurezza, e poter ammettere di sbagliare implica autostima,
Dire “sei permalosə/esageratə/aggressivə” è il modo più semplice ed immediato per spostare il problema da se stessi: il problema sei tu, non la mia battuta.
La permalosità (e tutto il resto) non esiste?
Forse sì. O meglio, forse non esiste come tratto stabile e immutabile. Esistono reazioni emotive, a volte anche sproporzionate. Ma anche dietro queste reazioni ci sono trigger emotivi — ferite del passato, esperienze non elaborate.
Commentare solo la “sproporzione” della reazione senza interrogarsi su cosa l’ha innescata significa perdere un’occasione di comprensione e di connessione.
Una frase come:
“Mi dispiace, non volevo ferirti, non mi aspettavo questa reazione” può aprire un dialogo
Dire invece “sei permalosə” chiude ogni spazio. Etichetta, blocca, definisce.
La differenza tra etichetta e responsabilità
Etichettare significa dire: “tu sei così”.
Osservare e responsabilizzarsi significa dire: “questa è stata la tua reazione, cerchiamo di capire insieme”.
Per esempio: se da piccolə ti prendevano in giro per la tua goffagine, è possibile che oggi, ogni commento su quel tema, ti ferisca più di quanto “dovrebbe”. Non sei esageratə: stai proteggendo una ferita aperta.
Conclusione
Etichettare chi abbiamo davanti ci fa sentire sicuri, ma ci impedisce di vedere davvero la persona.
La prossima volta che ci viene da dire “sei permalosə/esageratə/aggressivə” o qualunque altra etichetta, proviamo a chiederci:
“Cosa mi ha dato fastidio davvero? Cosa sta succedendo dentro di me?”
Solo così possiamo trasformare le relazioni in spazi di consapevolezza e non di giudizio.
E si … se te lo stai chiedendo la stessa cosa vale anche per la timidezza, introversione, chiusura….
“Spesso vediamo negli altri ciò che rifiutiamo di vedere in noi stessi.””
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/05/etichette-scaled-e1746797098582.jpg18821707Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-09-30 09:44:002025-05-16 13:57:37“Sei troppo permalosə!” Quando le etichette feriscono: come trasformare il giudizio in consapevolezza
“Non puoi amare davvero qualcun altro finché non impari ad amare te stesso.”
Brené Brown – docente universitaria
Relazioni e autostima: come il legame con l’altro riflette il rapporto con te stesso
Le relazioni che costruiamo parlano molto di noi: dei nostri desideri, delle nostre paure, ma soprattutto del modo in cui ci percepiamo. In qualità di psicologa, mi capita spesso di accompagnare persone che si trovano in difficoltà nei loro legami affettivi e, scavando con delicatezza, emerge una costante: la qualità delle relazioni esterne è strettamente legata alla qualità della relazione che abbiamo con noi stessi.
In questo articolo voglio offrirti uno sguardo approfondito su questo tema complesso, per vedere iniseme:
perché autostima e relazioni sono così intrecciate,
come riconoscere le dinamiche che fanno male,
e soprattutto, cosa puoi fare per spezzare i meccanismi disfunzionali e costruire legami più sani.
Relazioni e autostima: come il legame con l’altro riflette il rapporto con te stesso
Le relazioni sono specchi. Ci rimandano immagini di noi stessi, a volte nitide e luminose, altre volte distorte o dolorose. Negli incontri mi capita spesso di ascoltare persone che soffrono per una relazione difficile o per la mancanza di un legame significativo. Ma scavando sotto la superficie, la radice del dolore si rivela spesso più profonda: ha a che fare con come ci vediamo, quanto ci stimiamo, che valore ci attribuiamo.
In questo articolo ti accompagno in un viaggio dentro il legame tra relazioni e autostima, per aiutarti a riconoscere dinamiche che forse vivi senza accorgertene, e a costruire legami che non feriscono, ma che nutrono.
Cos’è davvero l’autostima?
Molte persone credono che l’autostima sia semplicemente “piacersi” o “pensare bene di sé”. In realtà è qualcosa di molto più profondo: è il rapporto emotivo che hai con te stesso.
L’autostima si costruisce nelle prime relazioni significative, in particolare con i genitori o chi si è preso cura di te. Se ti sei sentito visto, accolto e rispettato nei tuoi bisogni, è probabile che tu abbia interiorizzato un senso di valore personale. Se, al contrario, ti sei sentito inadeguato, giudicato o ignorato, potresti avere sviluppato una voce interiore critica o un senso cronico di insicurezza.
Segnali di un’autostima fragile:
Hai bisogno costante di conferme esterne
Ti senti in colpa quando poni dei confini
Tendi a compiacere gli altri per paura di essere rifiutato/a
Fatichi a riconoscere i tuoi meriti
Il legame tra autostima e relazioni
L’autostima non è un affare isolato: si riflette direttamente nel modo in cui scegliamo e viviamo le relazioni.
Se hai una buona autostima, è più facile che tu scelga partner che ti rispettano, ti ascoltano e ti amano senza voler cambiarti. Ma se dentro di te senti di valere poco, potresti essere attratto da relazioni sbilanciate, in cui il tuo bisogno di approvazione prende il sopravvento.
Le ferite dell’infanzia
Molte relazioni adulte ripropongono inconsapevolmente schemi appresi nell’infanzia. Se hai vissuto rifiuto, trascuratezza o ipercontrollo, potresti cercare nell’altro ciò che allora ti è mancato. È un tentativo di riparazione, che però spesso finisce per riattivare il dolore, invece di guarirlo.
Relazioni che nutrono vs relazioni che consumano
Non tutte le relazioni fanno bene. Ci sono legami che ci fanno crescere, e altri che ci svuotano. La differenza sta nella qualità della connessione emotiva.
Relazioni sane:
Ti fanno sentire libero/a, non intrappolato
Ti permettono di esprimerti senza paura
Sono basate sulla reciprocità e non sul sacrificio
Relazioni tossiche:
Ti fanno sentire costantemente in difetto
Ti portano a dubitare di te
Ti consumano energia e identità
Dipendenza affettiva
Spesso chi ha una bassa autostima confonde l’amore con il bisogno. Ma amare non è dipendere. Se temi di essere abbandonato, potresti accettare qualsiasi cosa pur di non restare solo. Questo non è amore, è sopravvivenza emotiva.
Autostima bassa: come impatta sulle relazioni
Una scarsa autostima agisce in modo silenzioso ma profondo nelle dinamiche relazionali. Ecco alcuni effetti comuni:
1. Paura dell’abbandono
Ti porta a essere iper disponibile, a non dire mai “no”, a sopportare troppo. Hai così paura di perdere l’altro che perdi prima te stesso.
2. Senso di colpa
Ogni volta che cerchi di tutelarti, ti senti egoista. Non riesci a distinguere il rispetto di te dai “torti” verso l’altro.
3. Mancanza di confini
Fai fatica a dire cosa ti fa stare male o a far valere i tuoi bisogni. Temi il conflitto e preferisci adattarti, anche a costo della tua serenità.
Quando l’amore fa crescere: relazioni come opportunità evolutive
Le relazioni non sono solo potenziali fonti di sofferenza. Possono essere spazi sacri di evoluzione. Quando c’è ascolto, rispetto e autenticità, l’altro diventa un alleato nel tuo percorso di crescita.
Amore consapevole
L’amore consapevole non è perfetto, ma è intenzionale. Si basa sulla scelta quotidiana di esserci, senza annullarsi, e sull’impegno a comunicare in modo onesto.
Imparare a scegliersi
Spesso restiamo in relazioni per abitudine, paura o senso del dovere. Ma una relazione sana si fonda su una scelta libera, non su un incastro o su una mancanza.
Crescere dentro le relazioni: strumenti per rafforzare l’autostima
La buona notizia è che l’autostima si può costruire e rafforzare, anche in età adulta. E le relazioni, se affrontate con consapevolezza, possono diventare occasioni preziose per farlo.
1. Cura del dialogo interiore
La prima relazione è quella con te stesso. Ascolta come ti parli, come ti giudichi, che parole usi verso di te. Imparare a rivolgersi parole più gentili è un atto psicologico potentissimo.
2. Indipendenza emotiva
Non significa chiudersi, ma saper stare bene anche da soli. Chi ha una buona autonomia emotiva entra in relazione per arricchirsi, non per riempire un vuoto.
3. Psicoterapia
La psicoterapia non serve solo quando “si sta male”. È uno spazio in cui puoi conoscerti meglio, rielaborare le tue ferite, e imparare a costruire legami più sani. Un lavoro profondo, a volte faticoso, ma sempre trasformativo.
Conclusione: la relazione più importante resta quella con te stesso/a
Le relazioni sono fondamentali per il nostro benessere. Ma nessun legame esterno potrà mai colmare il vuoto che nasce da una relazione interiore trascurata.
Investire sulla tua autostima significa scegliere con più lucidità, amare con più libertà e costruire legami che ti somigliano davvero.
Non si tratta di diventare perfetti, ma di imparare a volerti abbastanza bene da non accontentarti di ciò che ti ferisce. Perché l’amore che cerchi fuori inizia, sempre, da dentro.
“Amare se stessi è l’inizio di una storia d’amore lunga tutta la vita.“
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/05/relazioni-autostima-scaled-e1747401914759.jpg11221707Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-09-23 09:27:002025-05-16 13:34:03Relazioni e autostima: come il legame con l’altro riflette il rapporto con te stesso
“La colpa può diventare un collante relazionale tossico, un modo per controllare e farsi controllare”
Harriet Lerner – psicoterapeuta
Senso di responsabilità vs. senso di colpa: due facce della stessa moneta? No. Ecco perché.
Spesso il senso di responsabilità e il senso di colpa vengono confusi, come se fossero due facce identiche di un’unica medaglia. In realtà, sono due esperienze interiori profondamente diverse, che influenzano il nostro modo di pensare, sentire e agire. Capire questa distinzione non è un vezzo teorico: è la chiave per prendersi cura di sé, per costruire relazioni più autentiche e per affrontare la vita con maggiore serenità. Comprendere questa distinzione è fondamentale per migliorare il benessere emotivo e promuovere una crescita personale autentica
Cos’è il senso di responsabilità?
Definizione: capacità di riconoscere il proprio ruolo nelle azioni e nelle scelte, assumendosi le conseguenze in modo proattivo e costruttivo.
Il senso di responsabilità è la capacità di riconoscere il proprio ruolo nelle situazioni, assumendosi le conseguenze delle proprie scelte in modo lucido, costruttivo e proattivo. È una forza interiore che guida l’azione etica, la coerenza e l’affidabilità.
Quando parlo di senso di responsabilità, mi riferisco a quella spinta interiore che ci fa dire: “Ok, qui c’è qualcosa che dipende da me, posso fare la mia parte”. È come un faro che ci guida a fare un passo avanti, a rimediare, a prenderci in carico le conseguenze delle nostre scelte senza paura. Siano essi successi siano criticità… (si siamo responsabli anche dei nostri successi!)
Caratteristiche principali:
Orientamento all’azione e alla soluzione. Non restiamo bloccati sui problemi, ma cerchiamo strade pratiche per risolverli: ci organizziamo, chiediamo aiuto, studiamo una strategia.
Consapevolezza di limiti e risorse. Sappiamo di non essere onnipotenti, ma riconosciamo i nostri punti di forza e quelli sui quali possiamo lavorare.
Riparazione concreta. Se sbagliamo, non stiamo a crogiolarci: chiediamo scusa e proponiamo un gesto riparatore.
Esempio: Se dimentico un appuntamento con un amico, mi assumo la responsabilità dell’errore. Chiamo, chiedo scusa, spiego cosa è successo e mi rendo disponibile a riparare, ad esempio proponendo un nuovo incontro.
Che cos’è il senso di colpa?
Definizione: emozione che insorge quando si percepisce di aver violato un proprio codice morale o affettivo. Può essere utile come bussola morale, ma diventa disfunzionale se eccessivo o ingiustificato.
Il senso di colpa è un’emozione che nasce quando sentiamo di aver violato un nostro codice morale o affettivo. Può essere utile solo se legato a una reale responsabilità, ma diventa tossico se è generato da aspettative irrealistiche, manipolazioni o da un Super-Io ipercritico.È come un campanello d’allarme, utile se ci avverte di una reale trasgressione. Ma diventa veleno quando suona senza motivo o rimane acceso a lungo.
Caratteristiche principali:
Autogiudizio e autocritica
Ruminazione mentale (“rimuginio”)
Immobilismo emotivo
Esempio: Se dopo aver detto “no” a una richiesta irragionevole, passo ore a sentirmi in colpa e mi giudico come una persona egoista, allora non è responsabilità, è colpa disfunzionale.
Tabella riassuntiva
Aspetto
Senso di responsabilità
Senso di colpa
Origine
Scelta consapevole
Giudizio interiore
Effetto
Promuove l’azione
Alimenta la ruminazione
Stato emotivo
Centratura, chiarezza
Ansia, vergogna
Dialogo interiore
“Come posso rimediare?”
“Sono sbagliato/a”
Perché è importante fare distinzione
Crescita personale: Un sano senso di responsabilità ci spinge a migliorare, mentre la colpa cronica ci tiene fermi, in un circolo vizioso di autocritiche e dubbi.
Relazioni equilibrate: Riparare un torto è far sentire l’altro ascoltato e rispettato. Rimanere nella colpa, invece, alimenta distanze e incomprensioni.
Benessere emotivo: Liberarsi dal peso della colpa irrazionale riduce ansia, insonnia e perfezionismo esasperato.
Come coltivare il senso di responsabilità
Auto-riflessione guidata, Pratica dell’assertività, Esercizi di riparazione
Diario riflessivo: Prendi cinque minuti ogni sera per annotare cosa hai fatto, cosa avresti potuto fare diversamente e quali passi concreti intendi compiere domani.
Assertività con empatia: Impara a dire no quando serve, ma con rispetto: “Apprezzo l’invito, ma oggi non posso. Possiamo sentirci domani?”.
Gesti riparatori: Doppi se sbagli davvero: un messaggio, una piccola attenzione, un gesto simbolico che dimostri l’impegno a fare meglio.
Conclusione
Distinguere il senso di responsabilità dal senso di colpa è il primo passo per una gestione emotiva efficace e per costruire rapporti più autentici. Il primo ci guida verso il cambiamento e la riparazione; il secondo, se fuori controllo, ci imprigiona in giudizi negativi.
Distinguere il senso di responsabilità dal senso di colpa è un vero atto di cura verso se stessi. Significa smettere di etichettarci come “sbagliati” e iniziare a vedere le nostre azioni come opportunità di crescita.
“Tra stimolo e risposta c’è uno spazio. In quello spazio risiede la nostra libertà e il nostro potere di scegliere la nostra rispost”
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/04/responsabilita-vs-colpa.jpg12801920Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-07-30 09:00:002025-05-15 13:56:23Differenza tra Senso di Responsabilità e Senso di Colpa
“L’attaccamento è l’inizio di tutto: ci forma, ci guida, ci fa diventare quello che siamo.”
John Bowlby – psicoanalista
Stili di attaccamento: come influenzano la nostra vita emotiva e relazionale
L’attaccamento è uno dei concetti fondamentali nella psicologia umana, poiché rappresenta il legame profondo che si sviluppa tra un individuo e le persone che si occupano di lui sin dalla prima infanzia. Gli stili di attaccamento, determinati principalmente dalle esperienze precoci con le figure genitoriali o di riferimento, influenzano in maniera determinante il nostro comportamento e la qualità delle nostre relazioni future. In questo articolo, esploreremo i diversi stili di attaccamento, comprendendo le loro caratteristiche, le conseguenze di un attaccamento disfunzionale e gli esempi concreti che possono aiutarci a capire come tali stili possano distorcere la realtà.
Che cos’è l’attaccamento?
Il termine “attaccamento” si riferisce al legame emotivo che si sviluppa tra un bambino e la sua figura di riferimento principale, di solito la madre o il padre. Questo legame si forma in risposta a bisogni primari di sicurezza e conforto, ed è un fattore determinante nella costruzione dell’autostima, nella gestione delle emozioni e nel modo in cui ci relazioniamo con gli altri da adulti.
Il famoso psicologo britannico John Bowlby, considerato il padre della teoria dell’attaccamento, ha spiegato che il tipo di attaccamento sviluppato nei primi anni di vita influenza profondamente il nostro modo di percepire noi stessi e gli altri, nonché la nostra capacità di formare relazioni affettive soddisfacenti.
I quattro stili di attaccamento
Attaccamento sicuro
Un bambino con attaccamento sicuro si sente protetto e amato dai suoi genitori o caregiver. Questi bambini sono in grado di esplorare l’ambiente circostante, perché si sentono sicuri nel ritorno alla figura di riferimento quando necessario. Da adulti, tendono a sviluppare relazioni affettive stabili e sane, in cui si sentono capaci di dare e ricevere amore senza paura di essere rifiutati o abbandonati.
Esempio: Una persona con attaccamento sicuro è in grado di affrontare le difficoltà in una relazione senza sentirsi minacciata, e quando emergono conflitti, sa come comunicare apertamente i propri bisogni e desideri, senza cadere in paure paralizzanti o eccessiva dipendenza.
Attaccamento evitante
I bambini con attaccamento evitante crescono in un ambiente in cui le figure di riferimento sono emotivamente distanti o indifferenti. Questi bambini imparano a non chiedere aiuto, sviluppando una forte indipendenza. Da adulti, questo stile di attaccamento può manifestarsi con difficoltà nel creare legami intimi, nella paura di mostrarsi vulnerabili e nel rifiuto di dipendere dagli altri.
Esempio: Un adulto con attaccamento evitante può sentirsi sopraffatto o inibito quando il partner cerca di entrare in contatto emotivo, preferendo distaccarsi emotivamente piuttosto che affrontare la propria vulnerabilità.
Attaccamento ambivalente (o ansioso)
I bambini con attaccamento ambivalente vivono in un ambiente in cui le risposte delle figure di riferimento sono imprevedibili: a volte sono calorosi e affettuosi, altre volte sono distaccati o critici. Questo comportamento genera nei bambini una grande ansia, poiché non sanno mai cosa aspettarsi. Da adulti, queste persone possono diventare molto dipendenti dai loro partner, temendo costantemente l’abbandono e cercando rassicurazioni continue.
Esempio: Un adulto con attaccamento ansioso potrebbe invadere il partner con messaggi o chiamate incessanti, esprimendo una paura irrazionale di essere abbandonato, anche quando non c’è motivo di pensarlo. Questo comportamento può risultare soffocante e spingere l’altro a distaccarsi emotivamente.
Attaccamento disorganizzato
I bambini con attaccamento disorganizzato crescono in ambienti caotici o traumatici, dove le figure di riferimento sono imprevedibili e talvolta spaventose. Questi bambini non sanno come comportarsi nei confronti delle figure di attaccamento, alternando comportamenti di avvicinamento e rifiuto. Da adulti, questi individui possono sperimentare grave disorientamento emotivo e difficoltà nel gestire la loro vita relazionale, spesso manifestando comportamenti contraddittori e distruttivi.
Esempio: Un adulto con attaccamento disorganizzato può avere un rapporto conflittuale con l’intimità: da un lato desidera un legame profondo, ma dall’altro ha paura di essere ferito e tende a sabotare la relazione per paura di soffrire.
Gli effetti di un attaccamento disfunzionale
Un attaccamento disfunzionale, come quello evitante, ansioso o disorganizzato, può distorcere la realtà in modo significativo. Le persone che hanno sviluppato stili di attaccamento disfunzionali spesso interpretano le situazioni in modo distorto. Ad esempio, una persona con attaccamento ansioso potrebbe interpretare un gesto di indipendenza del partner come una forma di rifiuto, quando in realtà non c’è nulla di negativo nella situazione. Allo stesso modo, una persona con attaccamento evitante può scambiare il desiderio di intimità per una minaccia alla propria autonomia, e quindi respingere il partner.
Queste distorsioni possono alimentare conflitti nelle relazioni, creando un ciclo di incomprensione, ansia e paura. L’incapacità di gestire adeguatamente i propri bisogni emotivi e di comunicare in modo sano con gli altri può portare a sentimenti di solitudine e frustrazione.
La possibilità di cambiamento
Fortunatamente, gli stili di attaccamento non sono rigidi e possono evolvere nel corso della vita. La consapevolezza del proprio stile di attaccamento e il desiderio di migliorare le proprie relazioni possono essere il primo passo verso un cambiamento positivo. La psicoterapia, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e la psicoterapia psicodinamica, può aiutare a identificare e correggere le distorsioni cognitive associate agli stili di attaccamento disfunzionali, permettendo una gestione più sana dei legami affettivi.
Conclusione
Gli stili di attaccamento influenzano profondamente la nostra vita emotiva e le nostre relazioni. Comprendere il proprio stile di attaccamento e riconoscere le sue manifestazioni può essere il primo passo verso un cambiamento positivo. Le persone con attaccamento disfunzionale possono imparare a riconoscere le distorsioni della loro realtà emotiva e sviluppare modalità più sane di interagire con gli altri. Non è mai troppo tardi per lavorare su se stessi e migliorare la qualità dei propri legami affettivi.
“Le relazioni sane sono costruite sulla fiducia, ma prima dobbiamo imparare a fidarci di noi stessi”
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/04/attaccametno.jpg12721920Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-07-09 10:35:002025-04-25 15:37:02Stili di attaccamento: come influenzano la nostra vita emotiva e relazionale
“La felicità è folgore, la gioia luce: perciò non si può vivere nella felicità, ma si può vivere nella gioia”
Maura Del Serra – drammaturga
Gioia o Felicità… istinto o allenamento? Le 10 Regole:
La felicità è il desiderio comune di tutti, un viaggio verso la serenità e la gioia che tutti vorremmo compiere.
Come dice Maura Del Serra, “La felicità è come un seme, la gioia è il suo fiore luminoso”.
Ma come possiamo trovare questa gioia nella nostra vita quotidiana? e la si trova per istinto, per fortuna o per allenamento?
Jacinto Benavente scrive: “Molti pensano che avere talento sia una questione di fortuna; a nessuno viene in mente che la fortuna possa essere una questione di talento”. E il talento può essere il vivere con gioia: ambedue si possono costruire consapevolmente.
Obiettivo e stato d’animo
La gioia non è solo un obiettivo da raggiungere, ma uno stato d’animo da coltivare ogni giorno. Ecco alcune regole che le persone felici seguono per vivere una vita piena di serenità e soddisfazione:
Consapevolezza dei Valori: Le persone felici conoscono i propri valori e organizzano la propria vita intorno ad essi. Sanno cosa li rende veramente felici e dedicano tempo alle attività che li appagano.
Apprendere dagli Errori: Le persone felici non temono gli errori, ma imparano da essi. Capiscono che ogni errore è un’opportunità di crescita e sviluppo personale.
Non Preoccuparsi del Giudizio altrui: Le persone felici vivono autenticamente, senza preoccuparsi di ciò che gli altri pensano di loro. Liberano energia preziosa concentrandosi su ciò che è veramente importante per loro.
Gratitudine: Le persone felici apprezzano ciò che hanno e trovano gioia nelle piccole cose della vita. La gratitudine porta soddisfazione e apre la strada a ulteriori momenti di gioia.
Vivere nel Presente: Le persone felici accettano il passato e vivono nel presente. Non rimuginano sui rimpianti o sulle opportunità mancate, ma si concentrano sul qui e ora.
Dire “No” con Fiducia: Le persone felici sanno quando dire di no. Capiscono che non è possibile accontentare tutti e si concentrano sulle cose che sono veramente importanti per loro.
Focalizzarsi sull’Essenziale: Le persone felici non si preoccupano delle cose che non possono controllare. Si concentrano sulle loro azioni e sulle loro reazioni, lasciando andare ciò che è al di fuori del loro controllo.
Liberarsi dalla Rabbia: Le persone felici non permettono alla rabbia di prendere il sopravvento. Capiscono che trattenere la rabbia è dannoso per la propria salute mentale e cercano modi positivi per gestirla.
Non Essere il Centro dell’Universo: Le persone felici comprendono che il mondo non ruota attorno a loro. Accettano che non tutto dipende da loro e si liberano dal peso dell’autoreferenzialità.
Essere Proattivi: Le persone felici agiscono per raggiungere i propri obiettivi. Non aspettano passivamente che le cose accadano, ma si impegnano attivamente per realizzare i propri sogni.
Conclusioni
La gioia è una scelta che facciamo ogni giorno. Non è un obiettivo distante da raggiungere, ma piuttosto imo stato d’nimo da coltivare quotidianamente, è la scelta consapevole di vivere con gratitudine, positività e autenticità
Se sei pronto a intraprendere il tuo viaggio verso la gioia personale ti invito a iniziare da qui. Scegli di celebrare ogni passo verso una vita più piena e soddisfacente.
“Tutti gli essere umani vogliono essere felici; peraltro, per poter raggiungere una tale condizione, bisogna cominciare col capire che cosa si intende per felicità”
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/02/IMG_20220611_173915_246.jpg11811181Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-07-02 09:09:002025-07-10 15:42:00Gioia o Felicità… istinto o allenamento? Le 10 Regole:
“Attenzione alle paure del giorno. Amano rubare i sogni della notte”
Fabrizio Caramagna – Scrittore e studioso di aforismi
Affrontare la Paura: La Chiave per il Successo
Archie ama la musica e desidererebbe costruire su questa la sua vita ma la la paura del giudizio lo ferma, lo blocca completametne, Riuscirà a imparare e a gestire le sue paure?
Imparare a riconoscere, capie e gestire le prorpie paure è fondamentale per perseguire gli obiettivi che ci si prefigge e realizzare il nostro potenziale.
Il Potere della Paura: Una Visione Alternativa
Gli esperti affermano che i bambini nascono con solo due paure innate: la paura del vuoto e quella dei rumori forti. Queste paure, spesso considerati meccanismi di sopravvivenza, ci proteggono da situazioni potenzialmente pericolose.
Tuttavia, noi sperimentiamo molte più paure di queste due, tutte le altre paure, ansie e timori sono appresi attraverso l’esperienza e il coping (il processo con cui le persone gestiscono lo stress e le situazioni difficili) e, proprio come sono state apprese, le paure possono essere disimparate.
A volte ciò avvine in maniera casuale, a volte deve essere una scelta. La paura, infatti, può essere considerata una forza motivante potente che ci aiuta a raggiungere i nostri obiettivi più importanti
Paure apprese e “disimparate”
Le paure acquisite si sviluppano nel corso della vita a seguito di esperienze personali, influenze culturali e sociali. Queste paure possono variare notevolmente da persona a persona.
Ad esempio, qualcuno può sviluppare una fobia dei ragni dopo un incontro traumatico, mentre un’altra persona può temere il parlare in pubblico a causa di esperienze negative durante l’infanzia.
Esattamente come sono state apprese, queste paure possono essere disimparate. Questo processo può avvenire in maniera casuale, attraverso nuove esperienze che cambiano la nostra percezione del pericolo, oppure può essere il risultato di una scelta consapevole, supportata da diverse tecniche psicologiche
Coraggio: Confrontarsi con le Paure
Spesso, più intensa è la paura più significativo è l’obiettivo per la nostra crescita personale.
Il coraggio non consiste nell’eliminare la paura, ma nel confrontarsi con le situazioni nonostante essa.
Nella serie televisiva “Riverdale”, il personaggio di Archie dimostra come sia possibile agire e superare le proprie paure, diventando un esempio di resilienza e forza. La sua capacità di affrontare situazioni pericolose e incerte nonostante la paura è un esempio potente di come il coraggio possa trasformare la paura in un’alleata.
Utilizzare la Paura come Motivazione
La paura può diventare una potente spinta per raggiungere i nostri obiettivi. Come detto prima, se hai paura del vuoto prima di un salto, quella stessa paura ti darà la carica necessaria per affrontare e superare la sfida. Allo stesso modo, se un cambiamento ti intimorisce, quella paura può fornirti l’energia necessaria per affrontarlo con determinazione e coraggio. Utilizzare la paura come carburante può portarci a superare ostacoli che altrimenti ci sembrerebbero insormontabili.
La paura, se gestita correttamente, può essere considerata una forza motivante potente che ci aiuta a raggiungere i nostri obiettivi più importanti. Scegliere di andare oltere la paura ci spinge a uscire dalla nostra zona di comfort, a prendere decisioni audaci ed a lavorare sodo per evitare situazioni indesiderate. Questo effetto motivante della paura è ben illustrato in molte storie di successo.
Ad esempio, imprenditori di successo spesso raccontano come la paura del fallimento li abbia spinti a lavorare istantaneamente per assicurarsi che le loro imprese prosperassero. Allo stesso modo, atleti di alto livello utilizzano la paura della sconfitta come carburante per allenarsi più duramente e raggiungere prestazioni eccezionali.
Domande di Riflessione Personale
La tua Paura Più Grande
Identifica la tua paura più grande attuale e riflessi su come questa emozione possa essere utile per affrontare il cambiamento o per raggiungere i tuoi obiettivi nonostante la paura stessa.
Riconoscere le proprie paure è il primo passo per utilizzarle come strumenti di crescita. Chiediti: “In che modo questa paura mi sta influenzando? Come posso sfruttarla per migliorare la mia vita?”
Utilizzare la paura come motivazione
Rifletti su esperienze passate in cui hai superato la paura per ottenere qualcosa di significativo.
Come hai trasformato la paura in una spinta positiva per raggiungere i tuoi obiettivi?
Questi momenti di successo possono diventare una guida per affrontare le sfide future. Considera le tecniche e le strategie che hai utilizzato e come possono essere applicate ad altre aree della tua vita.
Convivere con la Paura
Esplora strategie per convivere con la paura e utilizzarla come una spinta positiva per migliorare te stesso. Come puoi trasformare la paura in un motore per il cambiamento e il successo? Trovare modi per gestire la paura può trasformarla da ostacolare a alleato.
Tecniche come la meditazione, il mindfulness e la visualizzazione positiva possono essere strumenti utili per gestire la paura in modo costruttivo.
Conclusione: Trasformare le Paure in Opportunità
In conclusione, imparare a gestire e utilizzare la paura come forza motivante è fondamentale per il successo personale e professionale.
Affrontare le paure con coraggio e usarle come spinta per convincere i nostri obiettivi ci consente di superare le sfide e di raggiungere il nostro pieno potenziale.
La paura, anziché essere vista come un nemico, può diventare un prezioso alleato nel nostro percorso di crescita. Riconoscere e sfruttare la paura come strumento di motivazione e crescita personale ci permette di vivere una vita più appagante e significativa.
“Blocchi il tuo sogno quando consenti alla tua paura di crescere più della tua fede”
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/04/paura1-scaled.jpg11542560Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-06-18 09:09:002025-07-10 09:36:03Affrontare la Paura: La Chiave per il Successo
“Non esiste nulla di più stereotipato che la sedicente novità quotidiana.”
Günther Anders – filosofo e scrittore
Stereotipi e Crescita: Trovare un Equilibrio
Nella fase di pianificazione, seguire gli “stereotipi” può offrire un punto di partenza utile, purché ci si impegni periodicamente a metterli in discussione per favorire la crescita continua. Questa pratica consente di stabilire una base solida su cui costruire, ma è importante essere aperti a nuove idee e approcci per evolversi nel tempo. Come evidenziato da uno studio pubblicato su Harvard Business Review ,
Efficienza verso Efficacia: Due Concetti Chiave
Distinguiamo tra efficienza ed efficacia: mentre la prima riguarda l’abilità di compiere le azioni nel modo più diretto e veloce possibile (come seguire una fila ordinata e avere un trolley maneggevole), la seconda si concentra sull’ottenere i risultati desiderati nel modo più completo e soddisfacente possibile, prendendo le decisioni giuste. Secondo un articolo su Journal of Operations Management ,
Definire l’obiettivo di efficienza: ottimizzare il tempo
Per definire un obiettivo di efficienza personale, è importante esaminare il proprio metodo operativo e identificare le azioni che possono essere eliminate o modificate per ottimizzare il tempo e massimizzare i risultati. La ricerca mostra che una gestione efficace del tempo può migliorare in modo significativo la produttività e il benessere generale (Locke & Latham, 2002)
1. Valutare il Processo Operativo
Inizia riflettendo sulle attività che si svolgono regolarmente e valuta quanto tempo dedicato a ciascuna di esse. Identifica le azioni che potrebbero essere considerate “sprechi” di tempo o risorse e prendi nota di esse ( studio di Psychology Today )
2. Identificare le Azioni Ottimizzabili
Una volta individuati i punti deboli nel tuo processo operativo, concentrati su come puoi migliorarli. Ciò potrebbe significare eliminare compiti superflui, semplificare procedure complesse o cercare nuovi strumenti e strategie per aumentare l’efficienza. Ad esempio, l’implementazione delle tecnologie digitali può ridurre in modo significativo i tempi di gestione delle attività quotidiane (Brynjolfsson & McAfee, 2014).
3. Implementare Cambiamenti Progressivi
Non cercare di apportare cambiamenti radicali da un giorno all’altro. Piuttosto, implementa modifiche progressive e valuta regolarmente i risultati ottenuti. Monitora attentamente il modo in cui i cambiamenti influenzano il tuo lavoro e adatta il tuo approccio di conseguenza. La teoria del cambiamento incrementale, come discusso da Kotter (1996), sottolinea l’importanza di piccoli passi per raggiungere obiettivi a lungo termine
4. mantenere una mentalità aperta al
Mentre lavori per ottimizzare il tuo tempo e il tuo metodo operativo, mantieni sempre una mentalità aperta al cambiamento. Essere disposti ad esplorare nuove idee e adattarsi alle nuove circostanze è fondamentale per mantenere l’efficienza nel lungo periodo. (Journal of Business Research)
Conclusione: Bilanciare Stereotipi e Innovazione
In conclusione, seguire gli stereotipi consolidati può fornire una base utile per la pianificazione e l’organizzazione, ma è importante essere disposti a metterli in discussione per continuare a crescere e migliorare. Definire obiettivi di efficienza personale e lavorare per ottimizzare il proprio tempo richiede auto-riflessione, adattamento e un costante impegno per l’innovazione. Con una combinazione equilibrata di stereotipi consolidati e nuove idee, è possibile massimizzare l’efficienza e raggiungere risultati significativi nel proprio lavoro e nella propria vita. Secondo uno studio condotto da McKinsey & Company .
“Tra le nuvole” è un film del 2009 diretto da Jason Reitman.
Per quanto persuasivo e insidioso possa essere lo stereotipo intellettuale, il suo ambito di applicazione finisce bruscamente dove comincia la sfera del rapporto personale.
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/04/stereotipi1-scaled.jpg11542560Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-06-11 09:09:002025-04-16 17:15:18Stereotipi e Crescita: Trovare un Equilibrio
“Non si può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non si è mangiato bene.”
Virginia Woolf – scrittrice, saggista – Tratto da “UnaUna stanza tutta per sé”
L’Influenza dell’Alimentazione sulla Psicologia
L’Alimentazione ha un’influenza sulla nostra psicologia e sul nostro cervello?
L’alimentazione svolge un ruolo cruciale non solo nel mantenere la nostra salute fisica, ma anche nel plasmare il nostro benessere mentale e emotivo.
Questa connessione profonda tra ciò che mangiamo e il nostro stato psicologico è supportata da una vasta gamma di evidenze scientifiche che dimostrano l’importanza di una dieta equilibrata per una mente sana.
Effetti Neurochimici dei Nutrienti
Uno dei modi principali attraverso cui l’alimentazione influenza la psicologia è attraverso gli effetti neurochimici dei nutrienti che assumiamo.
Il cibo che mangiamo fornisce i mattoni di base per la produzione di neurotrasmettitori, sostanze chimiche del cervello che influenzano l’umore, il comportamento e le funzioni cognitive.
Aminoacidi, come ad esempio il triptofano, presente in alimenti quali tacchino, pesce e latte, sono precursori della serotonina, un neurotrasmettitore associato al buon umore e alla regolazione dell’umore.
Allo stesso tempo, la carenza di nutrienti chiave come le vitamine del gruppo B, il magnesio e gli acidi grassi omega-3 può influenzare negativamente la produzione di neurotrasmettitori, compromettendo così il nostro benessere mentale.
Ruolo degli Ormoni e dell’Infiammazione
Inoltre, l’alimentazione può influenzare gli ormoni che regolano l’umore e lo stress.
Ad esempio, un’elevata assunzione di zuccheri semplici può portare a picchi e cali dell’insulina nel sangue, provocando sintomi di instabilità emotiva come irritabilità e fatica.
L’eccesso di zuccheri può anche contribuire alla resistenza insulinica, un fattore di rischio per la depressione e l’ansia.
Un altro aspetto cruciale è il ruolo dell’alimentazione nell’infiammazione corporea.
Alcuni alimenti, come quelli ad alto contenuto di zuccheri aggiunti e grassi saturi, possono contribuire all’infiammazione cronica nel corpo, che è stata associata a una serie di disturbi dell’umore, tra cui depressione e ansia.
Al contrario, una dieta ricca di alimenti anti-infiammatori come frutta, verdura e alimenti ricchi di omega-3 può aiutare a ridurre l’infiammazione e promuovere il benessere mentale.
Salute Intestinale e Microbiota
Inoltre, l’alimentazione ha un impatto significativo sulla salute intestinale e sulla composizione del microbiota intestinale.
Il microbiota intestinale, composto da trilioni di microrganismi che vivono nel nostro intestino, svolge un ruolo fondamentale nella regolazione dell’umore e del comportamento.
Una dieta equilibrata che sostiene la salute intestinale con alimenti ricchi di fibre, probiotici e prebiotici può favorire la crescita di batteri intestinali benefici, che a loro volta possono influenzare positivamente la nostra salute mentale.
Interazione tra Stato Mentale e Alimentazione
Infine, c’è una relazione bidirezionale tra il nostro stato mentale e il nostro comportamento alimentare.
Lo stress, l’ansia e la depressione possono influenzare il nostro appetito e le nostre scelte alimentari, portando a un aumento del consumo di cibi ad alto contenuto di zuccheri e grassi, che a loro volta possono influenzare negativamente il nostro umore e la nostra energia.
In conclusione…
In conclusione, l’alimentazione svolge un ruolo fondamentale nella modulazione del nostro benessere mentale e emotivo attraverso una serie di meccanismi complessi.
Adottare una dieta equilibrata, ricca di cibi integrali, frutta, verdura, proteine magre e grassi sani, può essere un modo efficace per sostenere la salute mentale e promuovere una mente sana e felice
“La scoperta di un nuovo piatto è più preziosa per il genere umano che la scoperta di una nuova stella.”
Anthelme Brillat – politico e gastronomo francese.
“Il successo non arriva da un giorno all’altro. È quando ogni giorno diventi un po’ meglio del giorno prima”
Dwayne Johnson – attore, produttore cinematografico
Accogliere il Feedback: La Chiave per Crescere come Leader
il Feedback
Il successo non arriva mai in un istante; si costruisce attraverso il miglioramento continuo. Come ci insegna **Dwayne Johnson**, ogni giorno è un’opportunità per essere migliori. Accogliere il feedback con apertura è uno dei modi più efficaci per crescere sia a livello personale che professionale.
Una ricerca pubblicata su Harvard Business Review ha sottolineato un principio cruciali: i leader che integrano il feedback sono spesso visti come più efficaci dai loro collaboratori e colleghi. Questo suggerisce che la capacità di ricevere e agire sulle opinioni degli altri è fondamentale per il successo professionale e personale.
Esploriamo come il feedback possa diventare uno strumento potente per la crescita continua e il miglioramento della leadership
L’Importanza del Feedback nella Leadership
I leader di successo non solo guidano, ma sono anche pronti a ricevere e agire sul feedback.
Harvard Business Review evidenzia come questa abilità sia cruciale per costruire un team più forte e più produttivo. In questo articolo esploreremo come il feedback, se ben accolto, possa diventare uno strumento indispensabile per la crescita e il miglioramento continuo
1. Ascolto Attento: La Base della Crescita
Quando riceviamo feedback, sia esso positivo o negativo, è fondamentale praticare un ascolto attivo. Questo approccio ci aiuta a comprendere appieno le opinioni degli altri, senza lasciar spazio all’ego.
Secondo uno studio pubblicato nel *Journal of Applied Psychology*, i leader più attenti al feedback sono più abili nel costruire relazioni e nel migliorare le performance.
Strategie per un ascolto attento
Focalizzare l’attenzione: Concentrati completamente sulla persona che sta parlando.
Parafrasare: Ripeti ciò che hai sentito per confermare la comprensione.
Porre domande chiarificatrici: Se qualche punto non è chiaro, chiedi ulteriori spiegazioni.
2. Trovare la Verità nel Feedback
Anche quando il feedback è difficile da accettare, è essenziale cercare la verità in esso. Le critiche, anche se dure, possono contenere elementi di valore che offrono nuove prospettive.
Academy of Management Journal afferma che i leader che riescono a identificare la verità nelle critiche sono più capaci di adattarsi e migliorare le loro performance e prestazioni
3. Gratitudine per il Dono del Feedback
Esprimere sinceramente gratitudine verso coloro che forniscono feedback è un passo importante per mantenere un atteggiamento umile e aperto.
Anche se il feedback può essere presentato in modo diretto o duro, riconoscere il valore di ricevere opinioni oneste aiuta a mantenere un’attitudine positiva e un approccio costruttivo alla crescita personale e professionale.
Secondo Harvard Business Review , i leader che esprimono gratitudine per il feedback ricevuto tendono a costruire relazioni di lavoro più forti e collaborative con i loro team.
Modi per mostrare gratitudine
Ringraziare immediatamente: Esprimi il tuo apprezzamento subito dopo aver ricevuto il feedback.
Implementare i cambiamenti: Dimostra che il feedback è stato preso sul serio apportando le modifiche suggerite.
Feedback di ritorno: Condividi con chi ti ha dato il feedback come lo hai utilizzato per migliorare.
Il Ruolo del Feedback nella Crescita Personale
Il processo di ricerca, accogliere e reagire al feedback è essenziale per il miglioramento continuo.
Essere aperti alle opinioni degli altri consente di acquisire nuove prospettive e di identificare aree in cui è possibile crescere e svilupparsi ulteriormente come leader e individui.
La ricerca dimostra che i leader che incorporano il feedback nel loro sviluppo personale tendono ad essere più efficaci e rispettati.
Conclusioni: Il Feedback come Motore del Successo
In sintesi, ricevere feedback con umiltà e gratitudine è essenziale per il progresso personale e professionale.
Adottare un ascolto attivo, identificare gli aspetti utili nel feedback e mostrare apprezzamento per le opinioni ricevute sono abitudini cruciali per favorire il miglioramento e la crescita continua, ci aiuteranno a diventare leader migliori e persone più complete.
Integrando queste pratiche nella nostra routine quotidiana, possiamo crescere quotidianamente ed evolverci come leader più efficaci e persone più complete
Filmato tratto da “Due agenti molto speciali 2”
Una Breve Annotazione Cinematografica
Nel film *Due agenti molto speciali 2* (2022) film diretto da Louis Leterrier,, i protagonisti affrontano le difficoltà e imparano dai propri errori.
Anche in un contesto cinematografico, possiamo notare come il feedback – anche nelle sue forme più difficili – possa stimolare crescita e miglioramento.
“Il feedback ci spinge ad un lavoro supplementare, e per di più oneroso: è molto più semplice “dare la colpa” a qualche agente esterno piuttosto che assumersi in prima persona la responsabilità di un rendimento mediocre. Ecco perché solitamente non cerchiamo i feedback”
Diego Agostini – scrittore, manager sviluppo risorse umane
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/01/feedback.jpg12811920Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-05-28 09:09:002025-04-16 17:16:35Accogliere il Feedback: La Chiave per Crescere come Leader
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