“A volte chiamiamo noia quella pace che il nostro cuore non ha mai imparato a meritare.”
Ralph WaldEnea Valori, – psiconeurologo e
Quando l’Amore Non Fa Male. Perché la pace ci spaventa più del caos?
Dopo anni di ascolto, con l’onore di aver accompagnato molte persone nei loro percorsi, mi rendo conto di come una delle trappole più invisibili — e più dolorose — dell’amore sia la confusione tra pace e noia.
Spesso accade che si incontri una persona che ci rispetta, ci ascolta e ci accoglie perchè andiamo benissimo così. Una realzione dove non vi è nulla da combattere, nulla da conquistare. Una relazione dove il cuore potrebbe finalmente riposare. Ma invece… ci si sente irrequieti, vuoti, disorientati. Quasi “spenti”.
“È davvero noia, o è la tua ferita che non riconosce un amore che non ti ferisce?”
La tensione emotiva a cui siamo abituati
Se nelle nostre storie d’amore (qualunque tipo d’amore: genitoriale, amicale, romantico…) ci sono stati più momenti di rincorsa, attesa, briciole di attenzione da mendicare, conflitto e passione infuocata… allora una relazione stabile, senza altalene, senza montagne russe di emozioni, dove siamo riconosciuti e rispettati, può sembrarci piatta, poco appagante. Ma non lo è.
È solo che il nostro sistema nervoso — abituato all’allarme — non sa ancora distinguere la calma dalla disconnessione. Ecco perché un amore sano può sembrare freddo se dentro di noi l’unico amore conosciuto è stato una lotta continua per esistere, sopravvivere, essere ricambiati.
Neurochimica della dipendenza affettiva
Le emozioni intense legate all’instabilità, al senso di pericolo e alla conquista, attivano nel cervello circuiti dopaminergici simili a quelli della dipendenza.
Il cortisolo (ormone dello stress) e l’adrenalina diventano i nostri compagni invisibili, e senza di loro ci sentiamo “spenti”.
La tranquillità, quindi, non è noia: è disintossicazione. Ma il processo di disintossicazione può fare paura. Ci mette a confronto con un vuoto che non è il segno della fine dell’amore, ma l’inizio della guarigione.
Il dolore che confondiamo con amore
Molte persone non fuggono dall’amore.
Fuggono dalla calma.
Perché quando il cuore ha imparato a sentire solo nel dolore, allora la quiete viene scambiata per assenza di vita. Ma è solo assenza di ferita.
Ecco perché, in terapia, spesso diciamo: “Non è l’amore che manca. È solo sparita l’adrenalina del dolore.”
Cosa fare quando la pace ti sembra vuota
Riconosci la ferita: ammettere che la percezione dell’amore è stata modellata dal dolore può essere triste e generare timore, ma ci permette di ricostruire per iniziare il processo di guarigione.
Accetta la disintossicazione emotiva: il tuo sistema nervoso sta imparando a stare senza picchi.
Coltiva nuove associazioni: impara che amore può voler dire calma, sicurezza, nutrimento.
Fermati e respira nella calma: la quiete può essere un terreno fertile, non un vuoto.
Calma, sicurezza e nutrimento: la gioia che nasce piano
All’inizio, la calma può sembrare vuota. La sicurezza, noiosa. Il nutrimento, poco eccitante.
Eppure, è da lì che, lentamente, sboccia la gioia autentica — quella che non ha bisogno di picchi emotivi per farsi sentire qualcosa, ma una gioia attiva, costante che ci riempie e ci nutre.
Quando una relazione ci offre sicurezza, il sistema nervoso si rilassa.
Il corpo esce dall’allerta, si regola, si apre. In quello spazio libero dalla minaccia, emergono emozioni nuove: non esplosive, ma profonde. Non teatrali, ma piene, appaganti e durature.
La calma è il terreno fertile per l’intimità.
In assenza di paura, possiamo davvero mostrarci e sentirci gratificati di essere. Non più trattenuti dal bisogno di difenderci o di rincorrere l’altro, possiamo finalmente essere, vivere, sentire. E in questo essere, sboccia la connessione, connessione mentale, fisica, emotiva.
La sicurezza permette l’espansione.
Quando smettiamo di temere l’abbandono, di sentireci in un conflitto costante, di non percepire che andiamo bene come siamo, finalmente possiamo dedicarci a crescere, a creare, a condividere davvero.
Il tempo condiviso non è più consumato dalla tensione, ma generativo, per noi stessi e per gli altri.
Il nutrimento crea memoria emotiva positiva.
I piccoli gesti, le attenzioni costanti, il sapere che si è pensati anche quando non si è presenti: tutto questo nutre i circuiti cerebrali dell’attaccamento sicuro. E nel tempo, costruisce un senso di gioia stabile, sottile, ma profonda.
La vera felicità relazionale non urla. Respira. Non abbaglia. Illumina.
Nel lungo periodo, queste esperienze diventano la base sicura da cui nasce la gratitudine, la leggerezza, la tenerezza — emozioni forse meno scenografiche, ma molto più sane e durature. Emozioni che fanno bene al corpo, al cuore e al cervello.
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È nella calma che il cuore impara a non confondere amore e sopravvivenza
“L’amore vero non accende fuochi per farti bruciare, ma accoglie la tua pelle stanca e la insegna a riposare”
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/06/cuore-immerso-nella-quiete.jpg8521280Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-10-15 09:09:002025-07-10 09:08:04Quando l’Amore Non Fa Male: perché la pace ci spaventa più del caos
“Non possiamo essere amati da qualcuno che ha bisogno di noi per sopravvivere”
Robin Norwood – scrittrice, terapeuta
Quando non riesci a lasciarlo andare: legami, dipendenza affettiva e il desiderio di salvarlo
Ti ostini a restare, anche se soffri: perché succede?
Se ti sei mai detta “non riesco a lasciarlo andare anche se sto male”, sappi che non sei sola. In psicoterapia, questa frase è tra le più comuni. Si riferisce a quelle relazioni che fanno male, ma che sembrano impossibili da interrompere. È una dinamica sottile e dolorosa, dove il cuore, la mente e spesso l’inconscio sembrano remare contro la nostra volontà razionale di stare bene.
Le radici invisibili dell’attaccamento
Dietro questa difficoltà si nasconde spesso un attaccamento insicuro, sviluppato nei primi anni di vita. Quando da piccoli l’amore è stato incostante, condizionato o legato al bisogno di “meritarselo”, potremmo sviluppare un modello relazionale dove il dolore viene confuso con l’amore. Così, anche da adulti, scegliamo inconsciamente relazioni che riecheggiano quelle prime esperienze, nel tentativo di “guarirle”.
Un altro elemento che ci tiene intrappolati in relazioni disfunzionali è il desiderio di “salvarlo”. Questo accade più spesso nelle donne, ma non solo, che assumono un ruolo quasi terapeutico nella coppia, cercando di curare le ferite emotive del partner, perdonandolo, giustificandolo, restando. Ma questa missione nasconde un bisogno profondo di sentirsi amate per ciò che si dà, piuttosto che per ciò che si è.
Quando lasciarlo andare fa più paura che restare
Lasciare andare può significare affrontare il vuoto, la solitudine, la paura di non trovare più nessuno. Eppure, restare in una relazione che ci spegne non è amore, è sopravvivenza emotiva. La verità è che spesso la ferita più profonda non è il partner stesso, ma l’idea che senza di lui valiamo meno. È qui che la psicoterapia può fare la differenza, aiutandoci a riscrivere il nostro copione interiore per:
Ricostruire l’autostima e il senso di valore personale
Riconoscere e trasformare i modelli relazionali disfunzionali
Accettare il dolore della perdita come parte del processo di crescita
Imparare a distinguere l’amore vero dalla dipendenza
Con un percorso dedicato, si può tornare a scegliere relazioni in cui ci si sente visti, rispettati e liberi.
Conclusione
Se ti ritrovi a dire “non riesco a lasciarlo andare”, è tempo di fermarti e guardarti dentro. Il primo passo per uscire da questa trappola affettiva non è colpevolizzarti, ma comprenderti. Perché dietro ogni legame che trattiene, c’è una parte di te che ha bisogno di cura, non di giudizio.
“Abbi il coraggio di lasciar andare ciò che non puoi cambiare. Abbi la forza di cambiare ciò che puoi“
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/04/dipendenza-affettiva.jpg12801920Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-10-08 08:55:002025-07-10 09:20:46Quando non riesci a lasciarlo andare: legami, dipendenza affettiva e il desiderio di salvarlo
Quante volte abbiamo sentito – o detto – queste parole? E quante volte ci siamo fermati a riflettere su cosa davvero significhino?
Etichettare è facile. Un gesto rapido, quasi automatico. Ma quando etichettiamo una persona per la sua reazione emotiva, stiamo davvero osservando l’altro o stiamo difendendo un’immagine di noi stessi?
Le etichette che ci portiamo dall’infanzia
Fin da bambini veniamo spesso definiti con certe caratteristiche: “troppo sensibile”, “drammatico”, “esagerato”. Queste etichette, ripetute nel tempo, finiscono per costruire un’identità: non solo per chi le pronuncia, ma anche per chi le riceve.
Cresciamo dentro quelle parole, e finiamo per credere che siano vere. Ma lo sono davvero?
Una riflessione da psicologə… e da persona
Quando ho iniziato a studiare psicologia, l’ho fatto anche per comprendere certe mie reazioni. Volevo “aggiustarmi”, capire da dove nasceva quella sensibilità, permalosità (si dice??), durezza, aggressività che spesso veniva vista come un difetto, ma che io mettevo in campo per difendermi e nascondermi.
E mi sono chiestə:
“se sono io l’oggetto di una battuta che mi ferisce, avrò anche il diritto di dire che quella battuta non mi fa ridere? e avrò il diritto di farlo senza essere considerata permalosa? Chi decide cosa è esagerato? Chi decide cosa ferisce?
Proiezioni e difese: chi è davvero in difficoltà?
Oggi credo che chi etichetta spesso stia proteggendo più se stessə, che non identificando gli altri: È molto più complicato e faticoso decidere di riconoscere di aver ferito qualcuno che non semplicemente etichettarlo; riconoscere di aver ferito significa mettere in discussione la propria immagine: “non voglio pensare di me di essere una persona che fa male, quindi preferisco credere che tu esageri.”, mettere in discussione l’immagine che si ha di sè implica sicurezza, e poter ammettere di sbagliare implica autostima,
Dire “sei permalosə/esageratə/aggressivə” è il modo più semplice ed immediato per spostare il problema da se stessi: il problema sei tu, non la mia battuta.
La permalosità (e tutto il resto) non esiste?
Forse sì. O meglio, forse non esiste come tratto stabile e immutabile. Esistono reazioni emotive, a volte anche sproporzionate. Ma anche dietro queste reazioni ci sono trigger emotivi — ferite del passato, esperienze non elaborate.
Commentare solo la “sproporzione” della reazione senza interrogarsi su cosa l’ha innescata significa perdere un’occasione di comprensione e di connessione.
Una frase come:
“Mi dispiace, non volevo ferirti, non mi aspettavo questa reazione” può aprire un dialogo
Dire invece “sei permalosə” chiude ogni spazio. Etichetta, blocca, definisce.
La differenza tra etichetta e responsabilità
Etichettare significa dire: “tu sei così”.
Osservare e responsabilizzarsi significa dire: “questa è stata la tua reazione, cerchiamo di capire insieme”.
Per esempio: se da piccolə ti prendevano in giro per la tua goffagine, è possibile che oggi, ogni commento su quel tema, ti ferisca più di quanto “dovrebbe”. Non sei esageratə: stai proteggendo una ferita aperta.
Conclusione
Etichettare chi abbiamo davanti ci fa sentire sicuri, ma ci impedisce di vedere davvero la persona.
La prossima volta che ci viene da dire “sei permalosə/esageratə/aggressivə” o qualunque altra etichetta, proviamo a chiederci:
“Cosa mi ha dato fastidio davvero? Cosa sta succedendo dentro di me?”
Solo così possiamo trasformare le relazioni in spazi di consapevolezza e non di giudizio.
E si … se te lo stai chiedendo la stessa cosa vale anche per la timidezza, introversione, chiusura….
“Spesso vediamo negli altri ciò che rifiutiamo di vedere in noi stessi.””
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/05/etichette-scaled-e1746797098582.jpg18821707Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-09-30 09:44:002025-05-16 13:57:37“Sei troppo permalosə!” Quando le etichette feriscono: come trasformare il giudizio in consapevolezza
“Non puoi amare davvero qualcun altro finché non impari ad amare te stesso.”
Brené Brown – docente universitaria
Relazioni e autostima: come il legame con l’altro riflette il rapporto con te stesso
Le relazioni che costruiamo parlano molto di noi: dei nostri desideri, delle nostre paure, ma soprattutto del modo in cui ci percepiamo. In qualità di psicologa, mi capita spesso di accompagnare persone che si trovano in difficoltà nei loro legami affettivi e, scavando con delicatezza, emerge una costante: la qualità delle relazioni esterne è strettamente legata alla qualità della relazione che abbiamo con noi stessi.
In questo articolo voglio offrirti uno sguardo approfondito su questo tema complesso, per vedere iniseme:
perché autostima e relazioni sono così intrecciate,
come riconoscere le dinamiche che fanno male,
e soprattutto, cosa puoi fare per spezzare i meccanismi disfunzionali e costruire legami più sani.
Relazioni e autostima: come il legame con l’altro riflette il rapporto con te stesso
Le relazioni sono specchi. Ci rimandano immagini di noi stessi, a volte nitide e luminose, altre volte distorte o dolorose. Negli incontri mi capita spesso di ascoltare persone che soffrono per una relazione difficile o per la mancanza di un legame significativo. Ma scavando sotto la superficie, la radice del dolore si rivela spesso più profonda: ha a che fare con come ci vediamo, quanto ci stimiamo, che valore ci attribuiamo.
In questo articolo ti accompagno in un viaggio dentro il legame tra relazioni e autostima, per aiutarti a riconoscere dinamiche che forse vivi senza accorgertene, e a costruire legami che non feriscono, ma che nutrono.
Cos’è davvero l’autostima?
Molte persone credono che l’autostima sia semplicemente “piacersi” o “pensare bene di sé”. In realtà è qualcosa di molto più profondo: è il rapporto emotivo che hai con te stesso.
L’autostima si costruisce nelle prime relazioni significative, in particolare con i genitori o chi si è preso cura di te. Se ti sei sentito visto, accolto e rispettato nei tuoi bisogni, è probabile che tu abbia interiorizzato un senso di valore personale. Se, al contrario, ti sei sentito inadeguato, giudicato o ignorato, potresti avere sviluppato una voce interiore critica o un senso cronico di insicurezza.
Segnali di un’autostima fragile:
Hai bisogno costante di conferme esterne
Ti senti in colpa quando poni dei confini
Tendi a compiacere gli altri per paura di essere rifiutato/a
Fatichi a riconoscere i tuoi meriti
Il legame tra autostima e relazioni
L’autostima non è un affare isolato: si riflette direttamente nel modo in cui scegliamo e viviamo le relazioni.
Se hai una buona autostima, è più facile che tu scelga partner che ti rispettano, ti ascoltano e ti amano senza voler cambiarti. Ma se dentro di te senti di valere poco, potresti essere attratto da relazioni sbilanciate, in cui il tuo bisogno di approvazione prende il sopravvento.
Le ferite dell’infanzia
Molte relazioni adulte ripropongono inconsapevolmente schemi appresi nell’infanzia. Se hai vissuto rifiuto, trascuratezza o ipercontrollo, potresti cercare nell’altro ciò che allora ti è mancato. È un tentativo di riparazione, che però spesso finisce per riattivare il dolore, invece di guarirlo.
Relazioni che nutrono vs relazioni che consumano
Non tutte le relazioni fanno bene. Ci sono legami che ci fanno crescere, e altri che ci svuotano. La differenza sta nella qualità della connessione emotiva.
Relazioni sane:
Ti fanno sentire libero/a, non intrappolato
Ti permettono di esprimerti senza paura
Sono basate sulla reciprocità e non sul sacrificio
Relazioni tossiche:
Ti fanno sentire costantemente in difetto
Ti portano a dubitare di te
Ti consumano energia e identità
Dipendenza affettiva
Spesso chi ha una bassa autostima confonde l’amore con il bisogno. Ma amare non è dipendere. Se temi di essere abbandonato, potresti accettare qualsiasi cosa pur di non restare solo. Questo non è amore, è sopravvivenza emotiva.
Autostima bassa: come impatta sulle relazioni
Una scarsa autostima agisce in modo silenzioso ma profondo nelle dinamiche relazionali. Ecco alcuni effetti comuni:
1. Paura dell’abbandono
Ti porta a essere iper disponibile, a non dire mai “no”, a sopportare troppo. Hai così paura di perdere l’altro che perdi prima te stesso.
2. Senso di colpa
Ogni volta che cerchi di tutelarti, ti senti egoista. Non riesci a distinguere il rispetto di te dai “torti” verso l’altro.
3. Mancanza di confini
Fai fatica a dire cosa ti fa stare male o a far valere i tuoi bisogni. Temi il conflitto e preferisci adattarti, anche a costo della tua serenità.
Quando l’amore fa crescere: relazioni come opportunità evolutive
Le relazioni non sono solo potenziali fonti di sofferenza. Possono essere spazi sacri di evoluzione. Quando c’è ascolto, rispetto e autenticità, l’altro diventa un alleato nel tuo percorso di crescita.
Amore consapevole
L’amore consapevole non è perfetto, ma è intenzionale. Si basa sulla scelta quotidiana di esserci, senza annullarsi, e sull’impegno a comunicare in modo onesto.
Imparare a scegliersi
Spesso restiamo in relazioni per abitudine, paura o senso del dovere. Ma una relazione sana si fonda su una scelta libera, non su un incastro o su una mancanza.
Crescere dentro le relazioni: strumenti per rafforzare l’autostima
La buona notizia è che l’autostima si può costruire e rafforzare, anche in età adulta. E le relazioni, se affrontate con consapevolezza, possono diventare occasioni preziose per farlo.
1. Cura del dialogo interiore
La prima relazione è quella con te stesso. Ascolta come ti parli, come ti giudichi, che parole usi verso di te. Imparare a rivolgersi parole più gentili è un atto psicologico potentissimo.
2. Indipendenza emotiva
Non significa chiudersi, ma saper stare bene anche da soli. Chi ha una buona autonomia emotiva entra in relazione per arricchirsi, non per riempire un vuoto.
3. Psicoterapia
La psicoterapia non serve solo quando “si sta male”. È uno spazio in cui puoi conoscerti meglio, rielaborare le tue ferite, e imparare a costruire legami più sani. Un lavoro profondo, a volte faticoso, ma sempre trasformativo.
Conclusione: la relazione più importante resta quella con te stesso/a
Le relazioni sono fondamentali per il nostro benessere. Ma nessun legame esterno potrà mai colmare il vuoto che nasce da una relazione interiore trascurata.
Investire sulla tua autostima significa scegliere con più lucidità, amare con più libertà e costruire legami che ti somigliano davvero.
Non si tratta di diventare perfetti, ma di imparare a volerti abbastanza bene da non accontentarti di ciò che ti ferisce. Perché l’amore che cerchi fuori inizia, sempre, da dentro.
“Amare se stessi è l’inizio di una storia d’amore lunga tutta la vita.“
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/05/relazioni-autostima-scaled-e1747401914759.jpg11221707Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-09-23 09:27:002025-05-16 13:34:03Relazioni e autostima: come il legame con l’altro riflette il rapporto con te stesso
“La colpa può diventare un collante relazionale tossico, un modo per controllare e farsi controllare”
Harriet Lerner – psicoterapeuta
Senso di responsabilità vs. senso di colpa: due facce della stessa moneta? No. Ecco perché.
Spesso il senso di responsabilità e il senso di colpa vengono confusi, come se fossero due facce identiche di un’unica medaglia. In realtà, sono due esperienze interiori profondamente diverse, che influenzano il nostro modo di pensare, sentire e agire. Capire questa distinzione non è un vezzo teorico: è la chiave per prendersi cura di sé, per costruire relazioni più autentiche e per affrontare la vita con maggiore serenità. Comprendere questa distinzione è fondamentale per migliorare il benessere emotivo e promuovere una crescita personale autentica
Cos’è il senso di responsabilità?
Definizione: capacità di riconoscere il proprio ruolo nelle azioni e nelle scelte, assumendosi le conseguenze in modo proattivo e costruttivo.
Il senso di responsabilità è la capacità di riconoscere il proprio ruolo nelle situazioni, assumendosi le conseguenze delle proprie scelte in modo lucido, costruttivo e proattivo. È una forza interiore che guida l’azione etica, la coerenza e l’affidabilità.
Quando parlo di senso di responsabilità, mi riferisco a quella spinta interiore che ci fa dire: “Ok, qui c’è qualcosa che dipende da me, posso fare la mia parte”. È come un faro che ci guida a fare un passo avanti, a rimediare, a prenderci in carico le conseguenze delle nostre scelte senza paura. Siano essi successi siano criticità… (si siamo responsabli anche dei nostri successi!)
Caratteristiche principali:
Orientamento all’azione e alla soluzione. Non restiamo bloccati sui problemi, ma cerchiamo strade pratiche per risolverli: ci organizziamo, chiediamo aiuto, studiamo una strategia.
Consapevolezza di limiti e risorse. Sappiamo di non essere onnipotenti, ma riconosciamo i nostri punti di forza e quelli sui quali possiamo lavorare.
Riparazione concreta. Se sbagliamo, non stiamo a crogiolarci: chiediamo scusa e proponiamo un gesto riparatore.
Esempio: Se dimentico un appuntamento con un amico, mi assumo la responsabilità dell’errore. Chiamo, chiedo scusa, spiego cosa è successo e mi rendo disponibile a riparare, ad esempio proponendo un nuovo incontro.
Che cos’è il senso di colpa?
Definizione: emozione che insorge quando si percepisce di aver violato un proprio codice morale o affettivo. Può essere utile come bussola morale, ma diventa disfunzionale se eccessivo o ingiustificato.
Il senso di colpa è un’emozione che nasce quando sentiamo di aver violato un nostro codice morale o affettivo. Può essere utile solo se legato a una reale responsabilità, ma diventa tossico se è generato da aspettative irrealistiche, manipolazioni o da un Super-Io ipercritico.È come un campanello d’allarme, utile se ci avverte di una reale trasgressione. Ma diventa veleno quando suona senza motivo o rimane acceso a lungo.
Caratteristiche principali:
Autogiudizio e autocritica
Ruminazione mentale (“rimuginio”)
Immobilismo emotivo
Esempio: Se dopo aver detto “no” a una richiesta irragionevole, passo ore a sentirmi in colpa e mi giudico come una persona egoista, allora non è responsabilità, è colpa disfunzionale.
Tabella riassuntiva
Aspetto
Senso di responsabilità
Senso di colpa
Origine
Scelta consapevole
Giudizio interiore
Effetto
Promuove l’azione
Alimenta la ruminazione
Stato emotivo
Centratura, chiarezza
Ansia, vergogna
Dialogo interiore
“Come posso rimediare?”
“Sono sbagliato/a”
Perché è importante fare distinzione
Crescita personale: Un sano senso di responsabilità ci spinge a migliorare, mentre la colpa cronica ci tiene fermi, in un circolo vizioso di autocritiche e dubbi.
Relazioni equilibrate: Riparare un torto è far sentire l’altro ascoltato e rispettato. Rimanere nella colpa, invece, alimenta distanze e incomprensioni.
Benessere emotivo: Liberarsi dal peso della colpa irrazionale riduce ansia, insonnia e perfezionismo esasperato.
Come coltivare il senso di responsabilità
Auto-riflessione guidata, Pratica dell’assertività, Esercizi di riparazione
Diario riflessivo: Prendi cinque minuti ogni sera per annotare cosa hai fatto, cosa avresti potuto fare diversamente e quali passi concreti intendi compiere domani.
Assertività con empatia: Impara a dire no quando serve, ma con rispetto: “Apprezzo l’invito, ma oggi non posso. Possiamo sentirci domani?”.
Gesti riparatori: Doppi se sbagli davvero: un messaggio, una piccola attenzione, un gesto simbolico che dimostri l’impegno a fare meglio.
Conclusione
Distinguere il senso di responsabilità dal senso di colpa è il primo passo per una gestione emotiva efficace e per costruire rapporti più autentici. Il primo ci guida verso il cambiamento e la riparazione; il secondo, se fuori controllo, ci imprigiona in giudizi negativi.
Distinguere il senso di responsabilità dal senso di colpa è un vero atto di cura verso se stessi. Significa smettere di etichettarci come “sbagliati” e iniziare a vedere le nostre azioni come opportunità di crescita.
“Tra stimolo e risposta c’è uno spazio. In quello spazio risiede la nostra libertà e il nostro potere di scegliere la nostra rispost”
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/04/responsabilita-vs-colpa.jpg12801920Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-07-30 09:00:002025-05-15 13:56:23Differenza tra Senso di Responsabilità e Senso di Colpa
“L’attaccamento è l’inizio di tutto: ci forma, ci guida, ci fa diventare quello che siamo.”
John Bowlby – psicoanalista
Stili di attaccamento: come influenzano la nostra vita emotiva e relazionale
L’attaccamento è uno dei concetti fondamentali nella psicologia umana, poiché rappresenta il legame profondo che si sviluppa tra un individuo e le persone che si occupano di lui sin dalla prima infanzia. Gli stili di attaccamento, determinati principalmente dalle esperienze precoci con le figure genitoriali o di riferimento, influenzano in maniera determinante il nostro comportamento e la qualità delle nostre relazioni future. In questo articolo, esploreremo i diversi stili di attaccamento, comprendendo le loro caratteristiche, le conseguenze di un attaccamento disfunzionale e gli esempi concreti che possono aiutarci a capire come tali stili possano distorcere la realtà.
Che cos’è l’attaccamento?
Il termine “attaccamento” si riferisce al legame emotivo che si sviluppa tra un bambino e la sua figura di riferimento principale, di solito la madre o il padre. Questo legame si forma in risposta a bisogni primari di sicurezza e conforto, ed è un fattore determinante nella costruzione dell’autostima, nella gestione delle emozioni e nel modo in cui ci relazioniamo con gli altri da adulti.
Il famoso psicologo britannico John Bowlby, considerato il padre della teoria dell’attaccamento, ha spiegato che il tipo di attaccamento sviluppato nei primi anni di vita influenza profondamente il nostro modo di percepire noi stessi e gli altri, nonché la nostra capacità di formare relazioni affettive soddisfacenti.
I quattro stili di attaccamento
Attaccamento sicuro
Un bambino con attaccamento sicuro si sente protetto e amato dai suoi genitori o caregiver. Questi bambini sono in grado di esplorare l’ambiente circostante, perché si sentono sicuri nel ritorno alla figura di riferimento quando necessario. Da adulti, tendono a sviluppare relazioni affettive stabili e sane, in cui si sentono capaci di dare e ricevere amore senza paura di essere rifiutati o abbandonati.
Esempio: Una persona con attaccamento sicuro è in grado di affrontare le difficoltà in una relazione senza sentirsi minacciata, e quando emergono conflitti, sa come comunicare apertamente i propri bisogni e desideri, senza cadere in paure paralizzanti o eccessiva dipendenza.
Attaccamento evitante
I bambini con attaccamento evitante crescono in un ambiente in cui le figure di riferimento sono emotivamente distanti o indifferenti. Questi bambini imparano a non chiedere aiuto, sviluppando una forte indipendenza. Da adulti, questo stile di attaccamento può manifestarsi con difficoltà nel creare legami intimi, nella paura di mostrarsi vulnerabili e nel rifiuto di dipendere dagli altri.
Esempio: Un adulto con attaccamento evitante può sentirsi sopraffatto o inibito quando il partner cerca di entrare in contatto emotivo, preferendo distaccarsi emotivamente piuttosto che affrontare la propria vulnerabilità.
Attaccamento ambivalente (o ansioso)
I bambini con attaccamento ambivalente vivono in un ambiente in cui le risposte delle figure di riferimento sono imprevedibili: a volte sono calorosi e affettuosi, altre volte sono distaccati o critici. Questo comportamento genera nei bambini una grande ansia, poiché non sanno mai cosa aspettarsi. Da adulti, queste persone possono diventare molto dipendenti dai loro partner, temendo costantemente l’abbandono e cercando rassicurazioni continue.
Esempio: Un adulto con attaccamento ansioso potrebbe invadere il partner con messaggi o chiamate incessanti, esprimendo una paura irrazionale di essere abbandonato, anche quando non c’è motivo di pensarlo. Questo comportamento può risultare soffocante e spingere l’altro a distaccarsi emotivamente.
Attaccamento disorganizzato
I bambini con attaccamento disorganizzato crescono in ambienti caotici o traumatici, dove le figure di riferimento sono imprevedibili e talvolta spaventose. Questi bambini non sanno come comportarsi nei confronti delle figure di attaccamento, alternando comportamenti di avvicinamento e rifiuto. Da adulti, questi individui possono sperimentare grave disorientamento emotivo e difficoltà nel gestire la loro vita relazionale, spesso manifestando comportamenti contraddittori e distruttivi.
Esempio: Un adulto con attaccamento disorganizzato può avere un rapporto conflittuale con l’intimità: da un lato desidera un legame profondo, ma dall’altro ha paura di essere ferito e tende a sabotare la relazione per paura di soffrire.
Gli effetti di un attaccamento disfunzionale
Un attaccamento disfunzionale, come quello evitante, ansioso o disorganizzato, può distorcere la realtà in modo significativo. Le persone che hanno sviluppato stili di attaccamento disfunzionali spesso interpretano le situazioni in modo distorto. Ad esempio, una persona con attaccamento ansioso potrebbe interpretare un gesto di indipendenza del partner come una forma di rifiuto, quando in realtà non c’è nulla di negativo nella situazione. Allo stesso modo, una persona con attaccamento evitante può scambiare il desiderio di intimità per una minaccia alla propria autonomia, e quindi respingere il partner.
Queste distorsioni possono alimentare conflitti nelle relazioni, creando un ciclo di incomprensione, ansia e paura. L’incapacità di gestire adeguatamente i propri bisogni emotivi e di comunicare in modo sano con gli altri può portare a sentimenti di solitudine e frustrazione.
La possibilità di cambiamento
Fortunatamente, gli stili di attaccamento non sono rigidi e possono evolvere nel corso della vita. La consapevolezza del proprio stile di attaccamento e il desiderio di migliorare le proprie relazioni possono essere il primo passo verso un cambiamento positivo. La psicoterapia, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e la psicoterapia psicodinamica, può aiutare a identificare e correggere le distorsioni cognitive associate agli stili di attaccamento disfunzionali, permettendo una gestione più sana dei legami affettivi.
Conclusione
Gli stili di attaccamento influenzano profondamente la nostra vita emotiva e le nostre relazioni. Comprendere il proprio stile di attaccamento e riconoscere le sue manifestazioni può essere il primo passo verso un cambiamento positivo. Le persone con attaccamento disfunzionale possono imparare a riconoscere le distorsioni della loro realtà emotiva e sviluppare modalità più sane di interagire con gli altri. Non è mai troppo tardi per lavorare su se stessi e migliorare la qualità dei propri legami affettivi.
“Le relazioni sane sono costruite sulla fiducia, ma prima dobbiamo imparare a fidarci di noi stessi”
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/04/attaccametno.jpg12721920Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-07-09 10:35:002025-04-25 15:37:02Stili di attaccamento: come influenzano la nostra vita emotiva e relazionale
“Il successo non arriva da un giorno all’altro. È quando ogni giorno diventi un po’ meglio del giorno prima”
Dwayne Johnson – attore, produttore cinematografico
Accogliere il Feedback: La Chiave per Crescere come Leader
il Feedback
Il successo non arriva mai in un istante; si costruisce attraverso il miglioramento continuo. Come ci insegna **Dwayne Johnson**, ogni giorno è un’opportunità per essere migliori. Accogliere il feedback con apertura è uno dei modi più efficaci per crescere sia a livello personale che professionale.
Una ricerca pubblicata su Harvard Business Review ha sottolineato un principio cruciali: i leader che integrano il feedback sono spesso visti come più efficaci dai loro collaboratori e colleghi. Questo suggerisce che la capacità di ricevere e agire sulle opinioni degli altri è fondamentale per il successo professionale e personale.
Esploriamo come il feedback possa diventare uno strumento potente per la crescita continua e il miglioramento della leadership
L’Importanza del Feedback nella Leadership
I leader di successo non solo guidano, ma sono anche pronti a ricevere e agire sul feedback.
Harvard Business Review evidenzia come questa abilità sia cruciale per costruire un team più forte e più produttivo. In questo articolo esploreremo come il feedback, se ben accolto, possa diventare uno strumento indispensabile per la crescita e il miglioramento continuo
1. Ascolto Attento: La Base della Crescita
Quando riceviamo feedback, sia esso positivo o negativo, è fondamentale praticare un ascolto attivo. Questo approccio ci aiuta a comprendere appieno le opinioni degli altri, senza lasciar spazio all’ego.
Secondo uno studio pubblicato nel *Journal of Applied Psychology*, i leader più attenti al feedback sono più abili nel costruire relazioni e nel migliorare le performance.
Strategie per un ascolto attento
Focalizzare l’attenzione: Concentrati completamente sulla persona che sta parlando.
Parafrasare: Ripeti ciò che hai sentito per confermare la comprensione.
Porre domande chiarificatrici: Se qualche punto non è chiaro, chiedi ulteriori spiegazioni.
2. Trovare la Verità nel Feedback
Anche quando il feedback è difficile da accettare, è essenziale cercare la verità in esso. Le critiche, anche se dure, possono contenere elementi di valore che offrono nuove prospettive.
Academy of Management Journal afferma che i leader che riescono a identificare la verità nelle critiche sono più capaci di adattarsi e migliorare le loro performance e prestazioni
3. Gratitudine per il Dono del Feedback
Esprimere sinceramente gratitudine verso coloro che forniscono feedback è un passo importante per mantenere un atteggiamento umile e aperto.
Anche se il feedback può essere presentato in modo diretto o duro, riconoscere il valore di ricevere opinioni oneste aiuta a mantenere un’attitudine positiva e un approccio costruttivo alla crescita personale e professionale.
Secondo Harvard Business Review , i leader che esprimono gratitudine per il feedback ricevuto tendono a costruire relazioni di lavoro più forti e collaborative con i loro team.
Modi per mostrare gratitudine
Ringraziare immediatamente: Esprimi il tuo apprezzamento subito dopo aver ricevuto il feedback.
Implementare i cambiamenti: Dimostra che il feedback è stato preso sul serio apportando le modifiche suggerite.
Feedback di ritorno: Condividi con chi ti ha dato il feedback come lo hai utilizzato per migliorare.
Il Ruolo del Feedback nella Crescita Personale
Il processo di ricerca, accogliere e reagire al feedback è essenziale per il miglioramento continuo.
Essere aperti alle opinioni degli altri consente di acquisire nuove prospettive e di identificare aree in cui è possibile crescere e svilupparsi ulteriormente come leader e individui.
La ricerca dimostra che i leader che incorporano il feedback nel loro sviluppo personale tendono ad essere più efficaci e rispettati.
Conclusioni: Il Feedback come Motore del Successo
In sintesi, ricevere feedback con umiltà e gratitudine è essenziale per il progresso personale e professionale.
Adottare un ascolto attivo, identificare gli aspetti utili nel feedback e mostrare apprezzamento per le opinioni ricevute sono abitudini cruciali per favorire il miglioramento e la crescita continua, ci aiuteranno a diventare leader migliori e persone più complete.
Integrando queste pratiche nella nostra routine quotidiana, possiamo crescere quotidianamente ed evolverci come leader più efficaci e persone più complete
Filmato tratto da “Due agenti molto speciali 2”
Una Breve Annotazione Cinematografica
Nel film *Due agenti molto speciali 2* (2022) film diretto da Louis Leterrier,, i protagonisti affrontano le difficoltà e imparano dai propri errori.
Anche in un contesto cinematografico, possiamo notare come il feedback – anche nelle sue forme più difficili – possa stimolare crescita e miglioramento.
“Il feedback ci spinge ad un lavoro supplementare, e per di più oneroso: è molto più semplice “dare la colpa” a qualche agente esterno piuttosto che assumersi in prima persona la responsabilità di un rendimento mediocre. Ecco perché solitamente non cerchiamo i feedback”
Diego Agostini – scrittore, manager sviluppo risorse umane
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/01/feedback.jpg12811920Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-05-28 09:09:002025-04-16 17:16:35Accogliere il Feedback: La Chiave per Crescere come Leader
“Le piccole emozioni sono i grandi capitani della nostra vita e obbediamo loro senza saperlo”
Vincent Van Gogh – pittore
Gestire le Emozioni: Ciò che Possiamo Controllare Davvero
Le emozioni fanno parte della nostra vita quotidiana e spesso sentiamo dire che dovremmo “imparare a gestirle”. Ma cosa significa davvero? È possibile controllare le emozioni oppure ciò che possiamo regolare sono i comportamenti che ne derivano?
Le Emozioni Sono Molecole, i Comportamenti Sono Scelte
Le emozioni non sono buone o cattive, belle o brutte, positive o negative: sono semplicemente il risultato di processi biochimici nel nostro cervello. Ansia, piacere, gioia, tristezza e felicità sono risposte naturali a ciò che viviamo. Non possiamo impedirci di provare un’emozione, perché fa parte della nostra natura umana.
Secondo uno studio pubblicato su *Nature Reviews Neuroscience* (Barrett, 2017), le emozioni emergono da complessi processi cerebrali che coinvolgono la corteccia prefrontale, l’amigdala e il sistema limbico. Queste risposte biochimiche sono automatiche e spesso al di fuori del nostro controllo consapevole.
Quello che invece possiamo fare è imparare a gestire i comportamenti che nascono da queste emozioni. Ad esempio, provare rabbia è inevitabile, ma possiamo scegliere se reagire con aggressività o con assertività.
“Ho fatto un patto sai, Con le mie emozioni Le lascio vivere, E loro non mi fanno fuori”
Vasco Rossi
Come Gestire i Comportamenti Legati alle Emozioni
Piuttosto che reprimere le emozioni, possiamo imparare a riconoscerle e a gestire i comportamenti conseguenti. Ecco alcuni passi utili:
1. Riconoscere l’Emozione
Il primo passo è diventare consapevoli di ciò che proviamo. Chiedersi: “Cosa sto provando in questo momento?” aiuta a separare l’emozione dall’azione
2. Dare un Nome all’Emozione
Etichettare le emozioni riduce la loro intensità e ci permette di osservarle senza esserne sopraffatti. Uno studio di Lieberman et al. (2007) ha dimostrato che nominare un’emozione attiva la corteccia prefrontale, riducendo l’attivazione dell’amigdala, responsabile delle risposte emotive intense.
3. Osservare i Pensieri e le Reazioni
Spesso non è l’emozione in sé a crearci difficoltà, ma il modo in cui la interpretiamo. Ad esempio, provare ansia prima di un evento importante è normale, ma pensare “fallirò sicuramente” amplifica il disagio. La Terapia Cognitivo-Comportamentale (Beck, 1976) aiuta a modificare questi schemi di pensiero disfunzionali.
4. Scegliere una Risposta Adeguata
Possiamo decidere come comportarci di fronte a un’emozione. Se ci sentiamo tristi, possiamo scegliere di isolarci oppure di cercare il supporto di una persona cara. Strategie come la Mindfulness (Kabat-Zinn, 1990) sono
L’Impatto della Gestione dei Comportamenti sulla Vita Quotidiana
Imparare a gestire le risposte alle emozioni porta a relazioni più sane, decisioni più consapevoli e maggiore benessere psicologico. L’obiettivo non è eliminare le emozioni, ma sviluppare strategie per rispondere in modo più funzionale.
Uno studio condotto da Gross (1998) ha dimostrato che la regolazione delle emozioni attraverso strategie adattive, come la rivalutazione cognitiva, è associata a una maggiore resilienza e benessere psicologico.
Conclusione
Le emozioni non si controllano, ma possiamo scegliere come reagire ad esse. La vera gestione emotiva consiste nel riconoscere ciò che proviamo e modificare i comportamenti che ne derivano per migliorare la nostra qualità di vita.
“L’universo ha senso solo quando abbiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni”
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/03/emozioni-1.png218851Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-05-21 09:09:002025-04-16 17:17:12Gestire le Emozioni: Ciò che Possiamo Controllare Davvero
“Commetti il più vecchio dei peccati nel più nuovo dei modi”
William Shakespeare – drammaturgo e poeta
Sesso Lento: Riscoprire il Piacere e la Connessione Profonda
Cos’è lo Sesso Lento?
Nella cultura occidentale, spesso il modo in cui facciamo l’amore rispecchia il ritmo frenetico in cui viviamo: rapido e senza tempo per vivere appieno il piacere.
Il sesso lento ci invita a rallentare e a concederci il tempo necessario per connetterci profondamente al nostro corpo e a quello del partner.
Questo approccio ci incoraggia a concentrarci sulle sensazioni interiori, creando un’esperienza più profonda e duratura di piacere, sperimentando il coinvolgimento di tutti i sensi
I Benefici dello Sesso Lento
La pratica del sesso lento consente ai partner di entrare in un contatto più autentico con il proprio corpo, ma anche di ascoltare e rispettare i desideri reciproci. Presenza, lentezza e delicatezza sono le parole chiave per imparare questa forma di sessualità. In questo processo, anche i preliminari, lo sguardo, le parole, e il tocco sono essenziali per una vera esperienza di intimità.
Il sesso lento aumenta l’intensità del piacere e migliora l’intesa con il partner.
La consapevolezza durante il rapporto sessuale stimola la corteccia prefrontale del cervello, migliorando l’autoconsapevolezza e riducendo le distrazioni. Inoltre, attiva il sistema nervoso parasimpatico, favorendo il rilassamento e incrementando il piacere.
Rallentare per una Connessione più Profonda
Il sesso rapido ed episodico, focalizzato principalmente sulla penetrazione e sull’orgasmo, può spesso portare a insoddisfazione sessuale, per lo più nel genere femminile
Al contrario, nel sesso lento, ci si concentra sulle sensazioni, sull’esplorazione reciproca, senza fretta di raggiungere il picco del piacere.
L’orgasmo non è l’obiettivo primario, ma una delle possibili esperienze che arricchiscono il viaggio sensoriale.
Vantaggi del Sesso Lento
Il sesso lento permette di esplorare zone erogene spesso trascurate, come il collo, la parte interna dei polsi, e la parte bassa della schiena, che sono ricche di terminazioni nervose.
Queste aree, se stimolate con un tocco delicato, possono amplificare l’eccitazione e intensificare il piacere. Inoltre, il sesso lento non è solo fisico, ma un approccio olistico che dà priorità alla connessione emotiva e alla consapevolezza.
Lentamente, i partner possono scoprire nuove modalità di piacere, riscoprendo il valore della carezza, del bacio prolungato, e della connessione emotiva durante ogni fase dell’incontro intimo.
Rallentare per Risvegliare la Sessualità
Il sesso lento può essere particolarmente utile per coppie che sperimentano disfunzioni sessuali (come eiaculazione precoce, anorgasmia o disturbi erettivi) o per chi desidera riaccendere il desiderio sessuale.
Spostando l’attenzione dal raggiungimento dell’orgasmo a un piacere più duraturo, si riscopre una nuova connessione erotica e si sviluppa una tensione sessuale quotidiana, che può essere mantenuta anche con poco tempo a disposizione.
L’Alchimia del Sesso Lento: Neurotrasmettitori e Ormoni in Gioco
Quando si pratica il sesso lento, una serie di ormoni e neurotrasmettitori vengono rilasciati nel corpo, giocando un ruolo fondamentale nel migliorare l’esperienza del piacere, favorendo il benessere e rafforzando il legame emotivo tra i partner.
Ecco alcuni degli ormoni e neurotrasmettitori che giocano un ruolo chiave:
Dopamina: Il neurotrasmettitore del desiderio, che si attiva durante l’attesa e l’esplorazione graduale del piacere.
Serotonina: Promuove la calma e l’appagamento emotivo, creando uno spazio sicuro per la connessione.
Ossitocina: L’ormone dell’amore, che si rilascia durante il contatto fisico prolungato, rafforzando il legame emotivo tra i partner.
Endorfine**: Agiscono come un analgesico naturale, riducendo lo stress e aumentando il benessere generale.
Approfondiamo il loro funzionamento e il modo in cui contribuiscono a creare una connessione più profonda e soddisfacente.
La Corteccia Prefrontale: Il Cervello e l’Attesa del Piacere
Nel sesso lento, non solo il corpo, ma anche la mente gioca un ruolo centrale.
La corteccia prefrontale, una delle aree più evolute del cervello, è responsabile di funzioni come l’autocontrollo, la pianificazione e la regolazione delle emozioni.
Quando rallentiamo, questa parte del cervello diventa particolarmente attiva, facilitando la consapevolezza e l’autocontrollo durante l’esperienza sessuale.
La corteccia prefrontale ci aiuta a concentrarci sul momento presente, a prestare attenzione a ogni tocco, ogni respiro, ogni sensazione. In un ambiente così consapevole, l’attesa stessa diventa parte integrante del piacere, e l’esperienza sessuale non si concentra solo sull’obiettivo finale (l’orgasmo), ma si estende a ogni fase dell’incontro intimo.
Questo tipo di concentrazione mentale fa sì che ogni momento diventi significativo, aumentando l’intensità del piacere.
Dopamina: Il Piacere dell’Attesa
La dopamina è uno dei neurotrasmettitori principali legati al desiderio e alla ricompensa. Quando rallentiamo e aumentiamo l’attesa nel sesso lento, la dopamina viene rilasciata in modo significativo. L’attesa stessa amplifica il desiderio, facendo crescere la tensione erotica tra i partner.
Questa sostanza chimica gioca un ruolo fondamentale nel ciclo del piacere, ed è spesso associata alla motivazione e alla gratificazione. Quando proviamo il desiderio, il nostro cervello libera dopamina, creando una sensazione di anticipazione che, nel caso del sesso lento, può aumentare la sensazione di piacere in modo più duraturo e profondo rispetto alla gratificazione immediata.
L’esperienza diventa quindi più emotiva e sensoriale, dando spazio all’eccitazione di essere in attesa di un piacere
Serotonina: La Calma nella Connessione
La serotonina, spesso definita l’ormone del “benessere”, è associata alla regolazione dell’umore e alla sensazione di calma e appagamento. Durante il sesso lento, i partner si concedono il tempo di connettersi emotivamente, di esplorare il corpo dell’altro con attenzione e senza fretta, creando uno spazio sicuro e rilassante.
La produzione di serotonina favorisce la sensazione di pienezza emotiva e soddisfazione che nasce dall’intimità profonda. In questo contesto, il sesso non è solo un atto fisico, ma un’esperienza che nutre anche il cuore e la mente, rendendo ogni tocco, bacio e sguardo un’espressione di amore e cura reciproca.
Inoltre, la serotonina gioca un ruolo importante nel rilassamento: più ci sentiamo sicuri e connessi con il partner, più è facile lasciarsi andare e godere del piacere senza ansia o preoccupazioni.
Ossitocina: Il Legame Profondo
Conosciuta anche come l’ormone dell’amore, l’ossitocina è una sostanza chimica fondamentale nella creazione di legami emotivi e affettivi. Viene rilasciata durante il contatto fisico, in particolare nei momenti di intimità come il bacio, l’abbraccio o il contatto pelle a pelle.
Nel sesso lento, l’ossitocina gioca un ruolo cruciale nel rafforzare il legame emotivo tra i partner. La produzione di ossitocina durante il contatto fisico prolungato favorisce un senso di connessione profonda, rendendo l’esperienza sessuale non solo un atto di piacere fisico, ma anche un atto di cura e intimità. È un ormonale che aiuta a rafforzare il legame tra i partner, rendendo l’intimità più sincera e genuina.
Quando la relazione si costruisce su una solida base di ossitocina, i partner si sentono più vicini e in sintonia, migliorando la qualità e la soddisfazione della relazione sessuale.
Endorfine: Il Piacere Naturale
Le **endorfine** sono neurotrasmettitori naturali che agiscono come **analgesici** naturali e sono direttamente collegate al piacere. Durante il sesso lento, l’intensificazione del piacere attraverso il tocco e l’esplorazione più attenta del corpo porta a un rilascio di endorfine, che riducono lo stress e migliorano il benessere fisico ed emotivo.
Le endorfine contribuiscono a creare una sensazione di euforia naturale e di appagamento che può durare anche dopo il termine del rapporto. Questo effetto “afterglow” è una delle ragioni per cui il sesso lento non solo migliora il piacere sessuale immediato, ma favorisce anche una sensazione di benessere a lungo termine.
I Punti Erogenei da Scoprire nel Sesso Lento
Nel sesso lento, non solo la penetrazione è importante, ma anche l’esplorazione di aree più sottili e sensibili del corpo. Ecco alcuni dei punti erogeni che meritano attenzione durante il rapporto:
Labbra e orecchie
Collo e nuca
Interno braccia e polsi
Zona lombare, interno coscia e retro ginocchia
Queste zone, quando toccate con delicatezza e intenzione, possono amplificare il piacere e creare una maggiore connessione tra i partner.
Ma ricordiamo sempre che ogni persona è diversa…..
Perché Scegliere il Sesso Lento?
Il sesso lento non è solo un atto fisico, ma un’opportunità per riscoprire il piacere autentico, che coinvolge corpo, mente ed emozioni. Concedersi il tempo di esplorare e connettersi consapevolmente con il partner crea uno spazio di intimità che nutre profondamente la relazione.
Rallentare non significa solo fare sesso, ma vivere un’esperienza che arricchisce la relazione, facendo dell’intimità un vero e proprio rituale.
Conclusione: Abbraccia il Cambiamento
Nel sesso lento, ogni tocco, bacio e carezza è accompagnato dal rilascio di ormoni e neurotrasmettitori che favoriscono il piacere, la connessione e il benessere complessivo.
La corteccia prefrontale ci aiuta a rimanere presenti e consapevoli durante il processo, mentre sostanze come la dopamina, la serotonina, lossitocina e le endorfine amplificano l’esperienza sensoriale, creando una nuova dimensione di intimità.
Rallentando il ritmo e concentrandosi sul piacere e sulla connessione reciproca, possiamo trasformare il sesso in un’esperienza che nutre non solo il corpo, ma anche la mente e l’anima, migliorando la qualità della relazione e creando una base solida per un’intimità duratura.
Se desideri una sessualità più consapevole, il sesso lento è una pratica che può migliorare l’intimità, rafforzare la connessione con il partner e risvegliare nuove dimensioni di piacere.
È il momento giusto per riscoprire il piacere autentico e la bellezza di fare l’amore con calma e consapevolezza.
“Ci sono solo due cose che un uomo e una donna possono fare in un giorno di pioggia. E a me non piace vedere la televisione”
Carol Burnett – attrice, comica, conduttrice televisiva
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/01/sesso-lento.png5051186Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-05-14 09:00:002025-04-16 17:17:32Sesso Lento: Riscoprire il Piacere e la Connessione Profonda
“I due sessi non sono inferiori o superiori l’uno all’altro. Sono semplicemente diversi”
Gregorio Marañón – medico, scrittore e filosofo
Perché le donne non chiamano il carro attrezzi?
L’uguaglianza tra uomini e donne è fondamentale, ma questo non significa che abbiano le stesse abilità o che reagiscano agli eventi nello stesso modo. Le differenze tra i due sessi sono il risultato di millenni di evoluzione e si riflettono anche nelle situazioni quotidiane, come nel caso di un’auto in panne.
Differenze di comportamento tra uomini e donne
Differenze di comportamento tra uomini e donne: Uno studio sulle abitudini di uomini e donne ha evidenziato un dato interessante: quando la macchina si ferma improvvisamente, la maggior parte delle donne non chiama immediatamente il carro attrezzi: Prima effettuano altre telefonate, spesso a un familiare, al partner o a un’amica. Gli uomini, invece, contattano direttamente il meccanico o il servizio di soccorso stradale, e solo dopo avvisano eventuali conoscenti.
Ma perché questa differenza? La risposta sta nel modo in cui i cervelli maschile e femminile sono programmati per affrontare i problemi.
Condivisione vs. soluzione: due approcci diversi
Le donne tendono a essere orientate alla relazione, mentre gli uomini sono orientati all’azione. Questo schema si riflette anche nel modo in cui affrontano le difficoltà:
Le donne danno priorità alla condivisione del problema, a volte anche più della soluzione stessa. Parlare con qualcuno è per loro un modo per elaborare la situazione.
Gli uomini si focalizzano sulla risoluzione immediata del problema, spesso senza sentire il bisogno di discuterne con altri. L’obiettivo principale è trovare una soluzione nel minor tempo possibile.
L’origine evolutiva di questa differenza
Questa distinzione ha radici profonde nella storia dell’umanità. Per quanto oggi possiamo volare, chiacchierare guardandoci anche a centinaia di km di distanza, l’evoluzione tecnologica è molto più veloce di quella biologica. Per millenni, le donne hanno vissuto e lavorato in piccoli gruppi, occupandosi della prole, della conservazione del cibo e della cura della comunità. Mantenere l’armonia all’interno del gruppo era essenziale per la sopravvivenza, motivo per cui la comunicazione e la condivisione sono diventate elementi chiave del loro comportamento. Gli uomini, invece, erano cacciatori o agricoltori e operavano spesso in solitaria. Se si presentava un problema, dovevano risolverlo rapidamente e in autonomia, senza perdere tempo in discussioni
Cosa significa oggi questa differenza?
Sebbene la società sia cambiata radicalmente, la nostra biologia non si è evoluta altrettanto velocemente. Ancora oggi, quando si presenta un problema:
Le donne tendono a parlarne e a cercare condivisione emotiva.
Gli uomini cercano subito la soluzione più efficace e veloce.
Questa differenza è alla base di molte incomprensioni e discussioni tra i sessi. Spesso, uomini e donne parlano dello stesso problema, ma con scopi completamente diversi: mentre lei usa la situazione per creare condivisione e relazione (perché nella maggior parte dei casi è assolutamente in grado di risolvere il problema anche da sola), lui cerca una soluzione pratica immediata.
Come evitare conflitti grazie a questa consapevolezza
Essere consapevoli di queste differenze può aiutarci a migliorare la comunicazione e a ridurre le incomprensioni. In una discussione, una donna può spiegare chiaramente che ha bisogno di essere ascoltata, senza che il suo interlocutore si senta obbligato a trovare subito una soluzione. D’altra parte, un uomo può chiarire che cerca una soluzione, senza troppi fronzoli.
Capire questi meccanismi ci permette di migliorare le relazioni e affrontare le difficoltà con maggiore empatia e comprensione.
“Il vero splendore è la nostra singola, sofferta, diversità”
Margaret Mazzantini – scrittrice, drammaturga, attrice
https://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/03/differenze-uomo-donna.png315851Martina Chiereghinhttps://martinachiereghinpsicologa.com/wp-content/uploads/2025/10/MtC-logo-bluR.pngMartina Chiereghin2025-05-07 09:23:002025-04-16 17:17:49Perché le donne non chiamano il carro attrezzi?
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